Dentro le canzoni #23 – Eric Taylor – Visitors From Indiana
Da Eric Taylor (1975)

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Qualcuno lassù è impazzito e ha iniziato a sparare qui sotto, a parte questo non posso dire di aver visto altro, io vivo a Kokomo. Mia moglie adorava il grazioso cappellino portapillole, i miei bambini pensavano che in Texas nevicasse, gli ho dovuto dire che la vita spesso è piena di delusioni, noi viviamo a Kokomo.

Se può succedere a te allora può succedere a me. Mi manca l’Indiana e vorrei conoscere adesso ciò che sapevo allora. Mi manca l’Indiana.

Ho un fratello a Wildcat River in piedi vicino alla collinetta erbosa, ha una moglie che ti metterà i brividi, lei è tornata a Kokomo.

Ho una sorella che è qui intorno da qualche parte, probabilmente si è persa l’intero dannato spettacolo, ha perso la ragione da quando lui l’ha lasciata seduta a Kokomo.

Immagino che dovrei chiamare i miei amici e la mia famiglia, sono sicuro che stanno ascoltando la radio. Qualcosa del genere può farti male fino a Kokomo.

Mi chiedo cosa farà la ragazza adesso, ha lasciato le sue rose in macchina, gliene daremo una dozzina più una se mai viene a Kokomo.

La canzone racconta, in puro stile Eric Taylor, la storia di una famiglia di Kokomo in vacanza a Dallas proprio nel giorno in cui un personaggio quasi inimmaginabile sparò da una finestra di un magazzino di libri lasciando nella memoria di ciascuno di noi una traccia in bianco e nero che resterà tale fino a quando l’intera faccenda non sarà chiarita. Possiamo sentirci tutti dentro questa storia. Si riferisce all’assassinio del Presidente Kennedy avvenuto il 22 Novembre 1963, senza citarlo esplicitamente nel testo ma descrivendo la sparatoria con poche parole solo nel primo verso. E poi la canzone continua passando ad altri personaggi e altri luoghi con una scrittura nuda, senza stravaganze e sostenuta da pochi strumenti. Per Eric Taylor il testo viene prima della musica nonostante suonasse la chitarra in modo personale con accordature aperte e controllo perfetto.

Nell’ annunciare la morte del singer/songwriter texano, il New York Times lo ha ricordato con queste parole: “ Venerato dai suoi colleghi più celebrati come Lyle Lovett e Steve Earle, Eric Taylor ha saputo fondere la melodiosità dei testi con un’evocativa narrazione dall’effetto ipnotico “.

Non sono certo dell’accuratezza della mia traduzione ma sullo straordinario suo talento nel raccontare storie di luoghi e di tempi, di personaggi e di amori non ci sono dubbi. Così come lo scrittore, poeta e drammaturgo William Faulkner, Taylor non sviluppa la trama delle sue canzoni seguendo un ordine cronologico dei fatti ma descrive vicende e situazioni che talvolta appaiono scollegate le une dalle altre. Inoltre per rivelare il mondo interiore dei personaggi, adotta la tecnica del flusso di coscienza per cui possiamo leggere o ascoltare i loro pensieri e sentimenti in forma diretta senza la mediazione del narratore.

Il Faulkner del songwriting, come lo ha definito la compagna sentimentale e artistica Nenci Griffith, aveva in comune con il premio Nobel della letteratura raffinate qualità di narratore e la cura per il dettaglio, doti che non gli venivano riconosciute. Per alcuni pochi estimatori era una leggenda, per altri un poeta lunatico vittima delle sue dipendenze contro le quali ha lottato per buona parte della sua vita. Oggi, dopo la morte non ha senso dire che Eric Taylor sia stato un imitatore. Il suo talento stabiliva l’agenda piuttosto che seguirla e questo i suoi colleghi lo sapevano bene.

Eric Taylor trascorre i primi anni della sua vita ad Atlanta immerso in un ambiente sociale e famigliare bigotto al punto da essere messo continuamente sotto giudizio perché suonava in una band composta da membri di razze diverse. Forse anche per queste frizioni lascia la casa dei genitori e affitta una camera presso una pensione dove alloggia fino al completamento della scuola superiore. Frequenta per un breve periodo i corsi della Georgetown University a Washington DC e seguendo il richiamo dei movimenti giovanili del tempo decide di trasferirsi in California ma lungo i 4600 chilometri che lo avrebbero portato al Pacifico, rimane senza soldi e si ferma a Houston in Texas dove lavora come lavapiatti presso il club chiamato The Family Hand. Negli anni ’60 e ’70, Houston era una città dove si suonava molto blues e il modo di vivere secondo la cultura freak e hippie era assai praticato. E’ qui che il giovane Eric Taylor sente Lightnin’ Hopkins ed entra a far parte di quel milieu di songwriter texani guidato da Mickey Newbury, Townes Van Zandt, Guy Clark e ne rimane fortemente influenzato. Nel 1977, dopo dieci anni di continuo lavoro di affinamento della sua maniera di comporre canzoni, vince la sezione New folk competition al Kerrville Folk Festival. Quattro anni dopo pubblica l’album del debutto SHAMELESS LOVE. L’amore senza vergogna del titolo è quello che unisce Eric Taylor a Nenci Griffith che sono stati sposati dal 1976 al 1982 ma non sarà l’unica donna della sua vita. Tra i brani dell’album spicca la ballata dell’indiano JOSEPH CROSS che portava al dito un anello creato con l’osso di un uomo bianco ucciso nel Missouri perché aveva offeso sua moglie. Passeranno altri quattro anni prima della pubblicazione del secondo album, l’ eponimo ERIC TAYLOR, nominato album dell’anno al Kerrville Festival del 1996.

Eric Taylor ha fatto tour in America e in Europa, tenuto corsi sulla composizione musicale e inciso diversi album che gli hanno procurato la fama di avvincente performer ma la sua produzione artistica non ha mai raggiunto quello che definiremmo il successo commerciale. Era ben consapevole di questo tanto da affermare: “ Ho incontrato il business della musica 30 anni fa e da allora abbiamo proceduto in direzione opposta “. Ci teneva invece ad affermare: “ Spero che la mia musica metta le persone a disagio e le costringa a ridere e a pensare “.

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