Wole Soyinka
Un'ode per l'Africa

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POETICA

Wole Soyinka, pseudonimo di Akinwande Oluwole Soyinka (nato il 13 luglio 1934), è un drammaturgo, poeta, scrittore e saggista nigeriano, considerato uno dei più importanti esponenti della letteratura dell’Africa sub-sahariana, nonché il maggiore drammaturgo africano. Nel 1986 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura, primo autore africano ad aggiudicarsi il prestigioso riconoscimento.

Comincia a scrivere ancora giovanissimo, ma emerge attivamente a partire dal 1960 quando, dopo aver cominciato ad insegnare letteratura e teatro in diverse università, fonda il gruppo teatrale “Le maschere 1960” e successivamente, nel 1964 crea la compagnia “Teatro Orisun” con la quale comincia a proporre anche opere di sua composizione. Nel 1965 pubblica il primo romanzo, scritto in inglese, Gli interpreti.
Nel corso della guerra civile nigeriana, viene incarcerato dal 1967 al 1969 per un articolo in cui chiede un cessate il fuoco, il che viene ritenuto sufficiente dal governo di Lagos per bollarlo come simpatizzante degli insorti e quindi  sovversivo. La sua esperienza in cella di isolamento è narrata nel suo romanzo L’uomo è morto.

Ancor più che per la narrativa e la saggistica, Wole Soyinka si è affermato però, tanto in Africa, quanto in Occidente attraverso il teatro e la poesia. In particolare, è noto per aver rivalutato il teatro della tradizione nigeriana e la “folk opera Yoruba” e per aver scritto oltre venti drammi e commedie, adattando al contesto nigeriano (e per la prima volta in assoluto in un paese dell’Africa subsahariana) opere quali Le Baccanti di Euripide, L’opera da tre soldi di Brecht, I negri di Genet, cui si aggiungono i suoi stessi lavori, rappresentati in vari paesi del mondo. Fra le sue raccolte poetiche ricordiamo: Idanre and Other Poems; A Shuttle in the Crypt; Ogun Abibiman; Mandela’s Earth and Other Poems.

L’opera di Soyinka si contraddistingue per i contenuti di impegno e denuncia degli orrori del suo Paese, dal genocidio del Biafra al terrorismo odierno di Boko Haram. Nel 1986, nel discorso per la cerimonia di assegnazione del premio Nobel, denuncia apertamente la segregazione razziale in atto in Sudafrica, esaltando la figura di Nelson Mandela, a cui, come detto, ha successivamente dedicato una raccolta di poesie.

Negli anni ’90 viene a lungo perseguitato e infine condannato a morte e costretto all’esilio dalla dittatura militare di Sani Abacha. Trasferito per due decenni negli Stati Uniti, dal 2016 torna a trascorrere gran parte della sua vita in Nigeria, dividendosi tra Abeokuta, sua città natale e la capitale Lagos.

Fieramente Yoruba e al tempo stesso caratterizzato da una formazione e visione cosmopolita, Soyinka attua, nella sua produzione, un’operazione di fusione tra parola, gesto e musica, recuperando appieno la tradizione della poesia e del teatro tradizionale rituale Yoruba, ma inserendola al tempo stesso in una cornice globale, riuscendo così ad incarnare la coscienza critica del proprio Paese e dell’intero continente.

Proprio questa concezione della poesia, lo porta a prediligere una forma espressiva antica quale l’ode, rivista e rivisitata in base alla libertà metrica della poesia moderna, scelta che si rivela così ad un tempo un omaggio alla poesia illuminista, discorsiva, ma ampliata con un registro linguistico in grado di illustrare una ricchezza di temi che spaziano su vari argomenti di indagine umana e di riflessione sociale; il tutto, rafforzato dalle radici della tradizione orale Yoruba che gli permettono di rivolgersi al popolo, raccontandone ed interpretandone storie ed istanze della sua vita quotidiana e delle sue problematiche sociali e da cui che il poeta attinge anche quel tono ironico, che accentua lo spirito sferzante della sua scrittura.

POESIE

MIGRAZIONI

Ci sarà il sole? O la pioggia ? O nevischio?
madido come il sorriso posticcio del doganiere?
Dove mi vomiterà l’ultimo tunnel
Anfibio? Nessuno sa il mio nome.
Tante mani attendono la prima
rimessa, a casa. Ci sarà?
Il domani viene e va, giorni da relitti di spiaggia.
Forse mi indosserai alghe cucite
su falsi di stilisti, con marche invisibili:
fabbriche in nero. O souvenir sgargianti, distanti
ma che ci legano, manufatti migranti, rolex
contraffatti, l’uno con l’altro, su marciapiedi
senza volto. I tappeti invogliano ma
nessuna scritta dice: BENVENUTI.
Conchiglie di ciprea, coralli, scogliere di gesso
Tutti una cosa sola al margine degli elementi.
Banchi di sabbia seguono i miei passi. Banchi di sabbia
di deserto, di sindoni incise dal fondo marino,
poiché alcuni se ne sono andati così, prima di ricevere
una risposta – Ci sarà il sole?
O la pioggia? Siamo approdati alla baia dei sogni

 

LA STRADA

Siate anche voi come la strada. Appiattite
la vostra pancia con la fame di un giorno infausto,
date forza alle vostre mani con la conoscenza della morte.
Nel torrido del pomeriggio quando il bagliore
innalza false foreste e un rifugio con acqua,
lasciate che l’evento si dipani ai vostri occhi.
Soli e abbandonati nella polvere,
quando fantasmi di camion vi passano accanto
e le vostra urla e le lacrime s’infrangono
contro cruscotti sordi e la polvere le inghiotte.
Bagnatevi nello stesso catino dell’uomo
che fa il suo ultimo viaggio e col dito rimescola
e tremola sull’acqua il riflesso di due mani,
riflesso di due mani ma di un solo volto.
Respirate come la strada, siate la strada.
Spiegate un ampio lenzuolo per la morte
con la lunghezza e il tempo del sole
finché l’unica faccia si moltiplichi
e l’unica ombra sia proiettata da tutti i dannati.
Respirate come la strada, siate la strada,
la strada stessa.

 

CONVERSAZIONE TELEFONICA

Il prezzo sembrava ragionevole, il luogo
indifferente. L’affittuaria aveva giurato di vivere
fuori sede. Non rimaneva nulla
se non la confessione. “Signora” avvisai,
“detesto buttar via tempo in viaggi inutili – sono africano.”
Silenzio. Trasmissione zittita di
buone maniere pressurizzate. La voce, quando venne,
spalmata di rossetto, pigolio di lungo
bocchino dorato. Ero stato beccato, che imbecille.
“QUANTO SCURO?”… Non avevo sentito male… “LEI È CHIARO
O MOLTO SCURO?”. Bottone B. Bottone A. Tanfo
di respiro rancido di pubblico nascondino telefonico.
Cabina rossa. Cassetta rossa. Autobus rosso
a due piani che schiaccia l’asfalto. Era vero! Svergognata
dal silenzio scortese, la resa
spinse lo stupore a pregare semplificazione.
Lei era piena di riguardo, variando l’enfasi –
“LEI È SCURO? O MOLTO CHIARO?”.
Venne la rivelazione.
“Lei intende – come cioccolato semplice o al latte?”.
Il suo assenso era clinico, schiacciante nella propria leggera
impersonalità. Rapidamente, regolatomi a quella lunghezza d’onda,
scelsi. “Seppia Africano occidentale” e come pensiero aggiunto,
“Come dice il mio passaporto.” Silenzio per spettroscopico
volo di fantasia, fino che la sincerità fece risuonare il suo duro
accento sulla cornetta. “COS’E’?” concedendo
“NON HO IDEA DI COSA SIA.” “Tipo castano.”
“È SCURO, GIUSTO?”. “Non del tutto.
Di faccia, sono castano, ma signora, dovrebbe vedere
il resto di me. Il palmo della mia mano, le piante dei miei piedi
sono di un biondo ossigenato. Lo sfregamento, dovuto –
che stupido pazzo – allo starmene seduto, ha reso
il mio sedere nero corvino – un momento, signora!”- percependo
il suo ricevitore rizzarsi in un fragore di tuono
fin nelle orecchie: “Signora,” supplicai, “non vorrebbe piuttosto
controllare di persona?”.

Consiglio di lettura dell’autore

Trattandosi di un autore che ha pubblicato la maggioranza delle suoi lavori in lingua inglese, l’intero corpus della produzione dell’autore nigeriano è logicamente di facile reperibilità in lingua originale o comunque nelle traduzioni inglesi delle pubblicazioni apparse originariamente il lingua yoruba. Per quanto riguarda le traduzioni in italiano di Soyinka, non essendo disponibili per tutte le raccolte poetiche, la risorsa migliore per approfondire l’opera poetica dello scrittore nigeriano è costituito dalla pubblicazione Abiku e altre poesie apparsa per i tipi dell’editore Franco Puzzo nel 2012 per la traduzione di Daria Potok e la curatela di Gianfranco Longo.

 

 

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