Sergej Aleksandrovic Esenin
La poesia di un teppista

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POETICA

Sergej Aleksandrovic Esenin, poeta russo,  nasce il 3 ottobre 1895 a Konstantinovo (oggi Esenino), nella regione di Rjazan, figlio unico di genitori contadini,

Cresciuto con i nonni nel cuore della Russia rurale, entra subito in contatto con la cultura contadina russa ed inizia a scrivere poesie già all’età di nove anni.

Nel 1912 si trasferisce a Mosca dove si guadagna da vivere lavorando come correttore di bozze presso una casa editrice.

Nel 1915, si trasferisce a San Pietroburgo, avendo modo di collaborare con alcuni tra i poeti più influenti della scena russa del momento, quali Aleksandr Blok, Sergej Gorodeckij, Nikolaj Alekseevič Kljuev e Andrej Belyj, che contribuiscono a divulgarne l’opera e ad indirizzarlo verso una maturazione della personalità poetica.

Nascono così le sue prime raccolta, Radunica, pubblicata nel 1915, seguito da Rito per il morto apparso nel 1916, opere che gli garantiscono subito una certa popolarità, grazie alla sua prosa, fondata sui temi principali della poesia amorosa (vista ora in termini sensuali, ora come lente d’esplorazione spirituale) e della vita delle plebi contadine delle campagne russe.

Quest’ultimo, in particolare, diviene il nucleo ispiratore prevalente della sua poesia, tanto che Esenin assurge immediatamente ad una delle figure simbolo (divenendone poi l’esponente più importante) della cosiddetta scuola dei poeti contadini; dalla sua poesia infatti, traspare il mondo rurale della Russia di inizio Novecento e le sue parole esaltano la bellezze della natura e l’amore verso il mondo degli animali, spesso utilizzato come vera metafora della vita comunitaria, a causa dello stretto legame che si viene a creare tra contadini ed animali nella vita delle campagne.

Oltre che grande cantore della natura e della terra russa, è un profondo conoscitore delle tradizioni e delle leggende del mondo contadino, che sa descrivere con accenti di accorato lirismo, rappresentando fedelmente anche la mentalità di quell’universo ancestrale, tratteggiandone la visione quasi primitiva ed ancora patriarcale, esaltandone la vita frugale e dipingendone lo spirito religioso, con tutte le sue contraddizioni.

Con il tempo, vengono ad aggiungersi alla sua versificazione anche temi legati agli eccessi che contornano la sua esistenza, consumata tra passioni fulminanti (tanto da sposarsi tre volte ed avere diverse e diversi amanti), e frequentazioni di bordelli ed abbandoni all’alcol.

Successivamente vira verso la corrente degli “imaginisti”, più legati ad un linguaggio simbolico e non mediato dai canoni linguistici, quasi di impronta futuristica. La sua matrice rimane però profondamente legata alla tradizione della sua terra, tanto che la rivoluzione bolscevica rappresenta per Esenin un avvenimento sconvolgente: pur accettandola a livello razionale, il poeta avverte che essa rappresenta la fine della vecchia Russia patriarcale. Dopo aver esaltato l’avvento della rivoluzione, manifesta le prime perplessità in una sorta di conflitto interiore descritto in Confessione di un teppista (1921) e in Mosca delle bettole (1924), composta a conclusione di un periodo particolarmente tormentato della sua vita irrequieta.

Con il passare degli anni la lirica di Esenin perde di intensità e di respiro visionario: i toni dei suoi versi diventano più retoricamente malinconici, perdendo la tensione vitalistica e paganeggiante del periodo iniziale, ma nell’ultima fase della sua produzione (dal già citato Confessione di un teppista del 1924, fino a Al cane di Kačalov dell’anno seguente, passando attraverso altre due brevi sillogi),  il poeta pare ritrovare un guizzo di nuova linfa, rappresentando nella sua poetica la riemersione delle antiche speranze perdute, pur permanendo, insuperabile, nel suo animo, la tragedia interiore legato alla dicotomia tra la sua visione del mondo ed il destino verso cui vede incamminato il suo paese.

In fondo, tale distonia è anche il riflesso di un’inquietudine personale strisciante che lo accompagna in tutta la sua vita intellettuale, da quando si distacca dalla sua realtà contadina ed entra in contatto da un lato con la dimensione cittadina e l’intelligentija del suo tempo e dall’altro con il resto del mondo (nel periodo del suo secondo matrimonio con l’attrice statunitense Isabella Duncan viaggia costantemente all’estero), esperienze che inevitabilmente – pur continuando a nutrire l’afflato per l’universo contadino – lo pongono in una condizione di straniamento verso il suo cosmo di provenienza (e gli fanno comprendere anche certi limiti di quell’orizzonte chiuso), smarrendo quasi impalpabilmente il senso delle sua stessa anima poetica. Questo disorientamento diviene causa delle inquietudini e della instabilità  che ne contrassegnano l’esistenza, insieme alle difficoltà creategli dall’essersi inimicato gli esponenti del potere sovietico, per aver evidenziato l’ingiustizia e la spregiudicata carica di violenza della loro azione pubblica.

Tutto ciò, costituisce la premessa del drammatico epilogo della sua breve vita e della sua parabola di artista, con il suicidio avvenuto  28 dicembre 1925 in una camera dell’Hotel Angleterre di San Pietroburgo, per quanto alcune ipotesi giornalistiche emerse successivamente, non escludano la teoria della morte come conseguenza di un’azione del GPU, la polizia segreta sovietica.

Rimane, la poesia di Esenin, la testimonianza di un animo fragile, indifeso di fronte alla violenza del mondo a lui contemporaneo, rifugiatosi nel limbo di un mondo antico, ormai trasfigurato dalla storia.

Come affermato da Trockij all’indomani della sua morte: « Esenin si sentiva sempre estraneo. Il nostro tempo è un tempo severo, magari uno dei più severi della storia dell’uomo cosiddetto civilizzato. Esenin non era un rivoluzionario. Le radici di Esenin sono profondamente popolari: lui e la rivoluzione non erano fatti della stessa pasta. Esenin era intimo, tenero, lirico; la rivoluzione è pubblica, epica. Per questo la breve vita del poeta si è troncata in maniera così catastrofica ».

Esenin è tuttora uno dei poeti maggiormente amati di tutti i tempi, tradotto in varie lingue ed apprezzato in varie parti del mondo, grazie alla semplicità delle immagini e dei concetti espressi, accompagnati al tempo stesso da una sapiente costruzione lirica. Proprio il suo lirismo è a sua volta alla base delle varie trasposizioni della sua opera in vari ambiti musicali.

Ricordiamo in particolare, nell’ambito della musica classica le opere del compositore russo Georgij Vasil’evič Sviridov ispirate ai versi del poeta, nell’ambito della musica folk i brani di Angelo Branduardi (vero esteta dell’opera di Esenin) Confessioni di un malandrino (trasposizione particolarmente fedele de Confessione di un teppista) e La cagna (tratta da La canzone di una cagna) ed infine nel settore del metalcore, il pezzo della band britannica Bring me the Horizon, It was written in blood, tratta dalla bellissima Arrivederci amico mio, arrivederci, ultima poesia composta da Esenin prima della sua morte.

POESIE

 

Sul piatto azzurro del cielo

Sul piatto azzurro del cielo

C’è un fumo melato di nuvole gialle,

La notte sogna. Dormono gli uomini,

L’angoscia solo me tormenta.

 

Intersecato di nubi,

Il bosco respira un dolce fumo.

Dentro l’anello dei crepacci celesti

Il declivio tende le dita.

 

Dalla palude giunge il grido dell’airone,

Il chiaro gorgoglio dell’acqua,

E dalle nuvole occhieggia,

Come una goccia, una stella solitaria.

 

Potere con essa, in quel torbido fumo,

Appiccare un incendio nel bosco,

E insieme perirvi come un lampo nel cielo.

 

 

Confessione di un teppista

Non a tutti è dato cantare,
Non a tutti è dato cadere
Come una mela ai piedi altrui.

È questa la più grande confessione
Che possa fare un teppista. Io vado a bella posta spettinato,
Col capo, come un lume a petrolio, sulle spalle.
Mi piace rischiarare nelle tenebre
Lo spoglio autunno delle vostre anime.
Mi piace che i sassi dell’ingiuria
Mi volino addosso come grandine
Di eruttante bufera.Allora stringo solo con le mani più forte
La bolla dondolante dei capelli.

M’è così dolce allora ricordare
Lo stagno erboso e il fioco stormire dell’alno,
Che ho un padre e una madre lontani,
Cui non importa di tutti i versi miei,
Cui son caro come un campo e la carne,
Come la pioggerella,
Che a primavera fa soffici i verdi.Loro verrebbero a infilzarvi
Con le forche per ogni vostro grido
Scagliato contro me.

Poveri, poveri genitori contadini!
Siete di certo diventati brutti,
Temete Iddio
E le viscere palustri.
Poteste almeno capire
che vostro figlio in Russia
è il miglior poeta!Non vi brinava il cuore
Per la sua vita,
Quando coi piedi nudi si bagnava
Nelle pozze autunnali?

Ora invece cammina in cilindro
E scarpe di vernice.Ma vive ancora in lui l’antica foga
Del monello campagnolo,
Che ogni cosa vuol rimettere a posto.
Ad ogni mucca sulle insegne di
macelleria
Egli manda un saluto di lontano.E incontrando in piazza i vetturini
E ricordando l’odore di letame
Dei campi natali,
È pronto a reggere la coda a ogni
cavallo,
Come lo strascico d’un abito nuziale.Io amo la patria,
Amo molto la patria!
Anche se copre i suoi salici
Rugginosa mestizia.

Mi sono cari i grugni imbrattati dei maiali
E nella quiete notturna la voce
Risonante dei rospi.Io sono teneramente malato
Dei ricordi d’infanzia,
Sogno la bruma
Delle umide sere d’aprile
come per riscaldarsi
Il nostro acero si è accoccolato
Al rogo del tramonto.

Quante volte mi sono arrampicato sugli
rami a rubare le uova dai nodi dei corvi!
È sempre lo stesso, anche ora,
Con la sua cima verde?
La sua corteccia è dura come allora?E tu, mio prediletto,
Fedele cane pezzato?!
Per la vecchiaia ora sei stridulo e cieco
E vaghi nel cortile,
Trascinando la coda penzolante,
Senza più ricordare
Dove sia la porta e dove la stalla.Come mi son care quelle birichinate,
Quando  rubato alla mamma un
cantuccio di pane,
Lo mordevamo insieme, uno alla volta,
Senza lasciar cadere una briciola
L’uno all’altro.Io non sono mutato.

Non è mutato il mio cuore
Come i fiordalisi nella segala,
Fioriscono gli occhi nel viso.
Stendendo stuoie dorate di versi,
Sì, voglio dirvi una parola tenera.
Buona notte!
A tutti, buona notte!Più non tintinna nell’erba del crepuscolo
La falce del tramonto.

La sera ho tanta voglia di pisciare
Dalla finestra mia contro la luna.
Azzurra luce, luce tanto azzurra!
In quest’azzurro anche il morir
Non duole. Che importa
Se ho l’aria d’un cinico
Dal cui sedere penzola un fanale!Mio vecchio, bravo Pegaso spossato,
M’occorre forse il tuo morbido trotto?

Io son venuto come un maestro austero
A decantare e celebrare i sorci.
E la mia testa, simile a un agosto,
S’effonde in vino di capelli ribelli.E voglio essere una gialla vela
Per quel paese verso cui navighiam.

 

Arrivederci amico mio, arrivederci *

Arrivederci, amico mio, arrivederci,
Tu sei nel mio cuore.
Una predestinata separazione
Un futuro incontro promette.

Arrivederci, amico mio,
Senza strette di mano e parole,
Non rattristarti e niente
Malinconia sulle ciglia:
Morire in questa vita non è nuovo,
Ma più nuovo non è nemmeno vivere.

  • Si tratta dell’ultima poesia scritta da Esenin il giorno precedente la sua morte

 

Consiglio di lettura dell’autore

Data la grande popolarità dell’autore, esistono diverse traduzioni italiane delle sue poesie, la maggior parte delle quali miscellanee, che in teoria potrebbero rappresentare il giusto approccio per approfondire l’opera di Esenin. Tuttavia, in questo caso, il nostro consiglio cade invece sulla traduzione di una singola silloge del poeta russo, essendo disponibile in italiano, quella che è probabilmente la raccolta più significativa di Esenin, da cui traspare emblematicamente tutto lo spirito della sua poesia, vale a dire, Confessione di un teppista (con l’aggiunta di poesie tratte da altre raccolte) peraltro di recente edizione, essendo stato pubblicato nel 2021 dall’editore Passigli, con la curatela e la traduzione di Bruno Carnevali.

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