Patrick Kavanagh
L'anti mito della poesia irlandese

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Poetica

Patrick Kavanagh (nato nel 1904 e morto nel 1967) è stata una figura chiave nella ricca storia della poesia irlandese.

L’importanza della sua poesia è legata soprattutto al fatto che,  pur avendo come oggetto prevalente la vita della provincia rurale irlandese, Kavanagh può essere considerato il fondatore della linea anti-lirica (e che potremmo anche definire “realista”) della poesia irlandese, in grado di fornire una chiave di lettura alternativa del mondo contadino e della società dell’isola rispetto alla tendenza dominante fino ad allora, che abbinava all’impostazione lirica, una visione folklorico-mitica della società contadina, versante che trova in William Butler Yeats il suo massimo esponente. Parliamo evidentemente di un filone che ha espresso poesia di alto livello,  ma che ha anche alimentato una sorta di sovrastruttura ideologica nella concezione della poesia e della cultura popolare,  considerati come i depositari dell’identità nazionale irlandese, nell’ambito del processo di rivendicazione dell’indipendenza della Gran Bretagna; fenomeno d’altronde del tutto identico all’approccio maturato verso il concetto di “popolare” nel resto d’Europa nel corso del XIX sec.

Una differenza fondamentale tra Kavanagh e molti esponenti della poesia precedente, è nel fatto che Kavanagh è realmente figlio del mondo rurale irlandese, provenendo nella contea di Monaghan, ed è proprio il suo radicamento in quel contesto ad estraniarlo da qualsiasi vagheggiamento idillico; per molti critici, Kavanagh è anzi in un rapporto di parallelismo antagonista e complementare con la poesia di Yeats, essendo stato non a caso definito come il miglior poeta irlandese proprio dopo il premio Nobel.

Al tono elegiaco della poesia di derivazione classica, Kavanagh contrappone, tra i primi, un linguaggio narrativo, a tratti quasi prosastico, in grado di immortalare la realtà circostante nelle sue sfumature del quotidiano e del “vero”, estendendo illimitatamente il campo del “dicibile” e del rappresentabile in poesia e quindi il suo oggetto stesso, mentre dal punto di vista stilistico, la principale peculiarità dell’opera di Kavanagh risiede nell’impossibilità di trovarle delle definizioni caratterizzanti, per la distanza che separa il suo verso dalla gamma di simbolismi, metafore, allegorie, della tradizione lirica: grazie a queste peculiarità, la poesia di Kavanagh risulterà talmente incisiva, che dopo di lui il registro realistico e narrativo troverà sempre più spazio nella poesia irlandesi ed in generale di lingua inglese.

La poetica di Kavanagh si sviluppa partendo da una attitudine emotiva prima che intellettuale, basandosi sull’immediatezza e la libertà di ispirazione dell’intuizione, il che lo conduce a cercare nell’universo a lui limitrofo il suo glossario descrittivo, affidandosi agli oggetti, ai riti, ai luoghi, ai personaggi della sua Inniskeen, che divengono al tempo stesso paradigmi di realtà universali, al riparo da qualsiasi tentazione provincialistica; la sua poesia ci appare perciò come esempio ante litteram della capacità di saper intrecciare il locale con il globale.

POESIE

 

SHANCODUFF

Le mie colline nere non hanno mai visto sorgere il sole,

esse guardano eternamente a nord verso Armagh.

La moglie di Lot non sarebbe sale se fosse stata

indifferente come le mie colline nere che sono felici

quando l’alba imbianca la cappella di Glassdrummond.

 

Le mie colline ammucchiano gli scintillanti scellini di marzo

mentre il sole fruga ogni tasca.

Esse sono le mie Alpi ed io ho scalato il Matterhorn

con un covone di paglia per tre vitelli moribondi

nel campo sotto il Big Forth di Rocksavage.

 

Le raffiche del nevischio accarezzano le barbe crespe di Shancoduff

mentre i commercianti di bestiame riparati nel Featherna Bush

alzano lo sguardo e dicono: “Chi possiede quelle colline affamate

che la gallinella d’acqua e il beccaccino devono aver abbandonato?

Un poeta? Perdio, dev’essere ben povero in canna”.

Li sento e il mio cuore non è sconvolto?

 

DISINFETTARE LE PATATE

I barili del disinfettante

aspettavano in fondo al campo di luglio

presso un muro d’orto dove le rose

erano ragazze appese al cielo.

 

I gruppi dei verdi gambi di patate verdi

fiorivano in rapide fughe,

questa pianta vestita di bianco,

quella d’azzurro lieve.

 

E sopra quel campo di patate

Un pigro velo di sole filato.

Soffioni crescono dove non arriva l’aratro,

scoprendo i loro derelitti cuori.

 

E io ero lì con lo spruzzatore

a tracolla in bilico sul barile. Una vespa

nuotava morta in una cava di foglia d’erica

su un oceano di tossico solfato.

 

L’asse di un carro fermo nel solco

ruppe l’arso stecco del mezzogiorno in due.

Un vecchio veniva attraverso un campo di grano

ricordando la sua giovinezza e una Ruth che aveva amato.

 

Mi venne incontro. ‘Dio benedica il lavoro.’

Fece echeggiare un’antica preghiera di contadina.

Lo ringraziai. Lanciò un’occhiata ai filari delle patate.

Disse: ‘Qui ne avrai delle buone’.

 

Parlammo e le nostre parole erano un motivo da re,

un motivo per archi. Si distese

all’ombra del muro. O, rose

il vecchio muore nel cipiglio della ragazza.

 

E il poeta perduto nei campi di patate,

ricordando l’odore di calce e di rame

spruzzato dai barili a spruzzo non è perduto

o finché i gambi fioriti non tessano un incantesimo.

 

IN MEMORIA DI MIA MADRE

Non ti penso finita nel fango

di un cimitero di Monaghan; ti vedo

che cammini tra filari di pioppi

verso la stazione, o che vai contenta

 

alla seconda messa in una domenica d’estate –

ti incontri con me e dici:

“Non trascurare il bestiame…”

Parole terrene di creatura celestiale.

 

E ti penso che cammini lungo un promontorio

di verdi avene in giugno,

così pieno di pace, così ricco di vita –

e vedo che ci incontriamo alla fine di una città

 

un bel giorno per caso, dopo

che tutti gli affari si sono conclusi e possiamo andare insieme

Insieme attraverso i negozi e le bancarelle e i mercati

liberi nelle vie orientali del pensiero.

 

No, tu non giaci nel fango,

questa è sera di raccolto e noi

ammucchiamo i covoni contro il chiaro di luna

e tu ci sorridi – eternamente.

 

Consiglio di lettura dell’autore

Pur essendo presenti traduzioni italiane di vari brani poetici di Kavanagh all’interno di vari blog e riviste (ad esempio nel caso dei brani qui antologizzati, si tratta di traduzioni dovute al lavoro di Nicola Gardini, apparse nel suo articolo presente nel numero di Novembre 2000 della rivista Poesia edita dall’editore Crocetti) esiste un’unica raccolta organica in italiano; si tratta Andremo a rubare in cielo, apparsa nel 2009 per i tipi dell’editore milanese Ancora, a cura e per la traduzione di Saverio Simonelli. Si tratta di un lavoro certosino e di ottima fattura, che annovera molte degli scritti più importanti del grande poeta irlandese e che pertanto rappresenta sicuramente il miglior punto di partenza possibile per approfondire l’opera del grande poeta irlandese.

 

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