Matt Andersen & The Big Bottle Of Joy
(2023, Stubbyfingers Inc. / Sonic Records Ltd.)

Matt Andersen & the Big Bottle Of Joy (2023)
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Matt Andersen, canadese, nasce nel come chitarrista blues, ma ben presto la sua musica si lascia permeare dal groviglio di stili che gravitano attorno al blues, affluenti ed emissari di quelle acque fangose che stanno al centro del cuore della musica americana.

Festeggiati l’anno scorso i vent’anni di carriera, nel marzo del 2023 Andersen torna a pubblicare il solito gran disco, zeppo di belle canzoni, cantato e suonato in modo commovente. E come al solito, autoprodotto: Matt Andersen & The Big Bottle Of Joy (che è anche il nome della band che lo accompagna).

La chiave è l’approccio compositivo ed esecutivo: al centro ci sono dei contenuti, delle storie, delle emozioni, e per farle arrivare nel modo più diretto possibile vanno usati pochi ingredienti semplici, con cui chiunque possa rapportarsi, così come poche, semplici e comuni a tutti gli esseri umani sono quelle stesse emozioni. Quindi la voce canta melodie immediate, quasi elementari, quelle del gospel, quelle che una madre può sussurrare al neonato perché si senta rassicurato e possa abbandonarsi al riposo, quelle che un coro improvvisato può riproporre rispondendo alla chiamata del cantante/predicatore, quelle che non fanno deviazioni nel percorso cuore>bocca>orecchie>cuore. E per accompagnarle basta poco: basso, batteria, piano/hammond, chitarra e soprattutto altre voci, perché la musica (come tutte le arti) è comunicazione, partecipazione, esposizione. Figuriamoci se servono più di tre/quattro accordi a canzone…

A parte il rock/blues che apre le danze con Let It Slide, il quasi funk di What’s On My Mind, le atmosfere neworleansiane di Rollin’ Down The Road (sembra di ascoltare l’Anders Osborne di metà carriera) sono soul e gospel a farla da padroni lungo la (sostanziosa) tracklist di questa grossa bottiglia di gioia, tra lenti d’atmosfera e morbidi mid tempo.

E la poesia. “Only an island / And the lonely horizon / Knows what it’s like / To be pushed by the tide / Just to pull you back in…. Surrounded by water / Going nowhere but under / No one’s breaking your heart / It’s just you and the dark / To have and to hold… If you ever find her / Tell her you love her / ‘cause only island / is better alone” canta in Only An Island.

E i suoni. Ascoltate questo disco con un buon impianto (se lo avete ancora!) o con delle buone cuffie, e non potrete non godere del suono “lontano” della batteria, della grana timbrica dei cori accarezzati dall’hammond sul canale destro, il calore del suono della chitarra elettrica di Andersen che si divide il canale sinistro con il piano Rhodes… un suono caldo e avvolgente grazie anche ad un sapiente uso dello spazio e dell’acustica a ricreare la sensazione di stare dentro lo studio di registrazione insieme ai musicisti. Come nei video live promozionali realizzati per l’occasione e disponibili sul canale YouTube di Andersen.

Un disco che aiuta anche a capire perché il formato “album” (o “disco”, “33 giri”, “long playing” o come altro volete chiamarlo) mantenga intatta la sua forza e la sua marcia in più rispetto a singoli, EP e playlist, poiché costituisce un’opera d’arte a sé stante grazie al posizionamento e allo sviluppo di canzoni e atmosfere nel tempo: non solo una collana di dodici perle ma un viaggio raccontato attraverso dodici storie.

Forse non è all’altezza di Weightless (2014) e di altri grandi dischi pubblicati da Matt Andersen negli scorsi vent’anni, ma The Big Bottle Of Joy resta un disco privo di brutte canzoni o riempitivi, di momenti di stanca e di cali di ispirazione. Un disco, peraltro, impreziosito dal capolavoro che lo chiude: Shoes. Un paio di chitarre acustiche, hammond e fisarmonica (oltre, ovviamente, allo straordinario timbro vocale del Nostro) per un gioiello di scrittura e interpretazione. Un momento di illuminazione, di grazia e di riflessione sulla necessità di trovare, ogni tanto, qualche istante per rimanere in due, lasciando sbiadire sullo sfondo il mondo esterno, quello che per ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette, si mette in mezzo, assorbendo il meglio delle nostre energie. I testi li trovate tutti sul sito di Andersen, ma questo va trascritto per intero: leggetelo mentre ascoltate il video che vi lascio sotto, dove l’autore spiega che il titolo nasce da un motto di sua madre “a volte devi imparare a ballare con le scarpe che hai addosso”

I’ve been leaving early
You’ve been working late
Without these pictures on the wall
I might never see your face
When I count my blessings
You’re always number one
From the sweetness of the moonlight
And the warmth of the morning sun
 
We drift on like ships out on the ocean
But one of these nights
We’re going to find a moment to ourselves
I’ll mix you a drink
You put on a song
We’re dancing in the shoes we’ve got on

Let’s leave the dishes ‘til the morning
Roll the rug against the wall
In our little kitchen ballroom
You’re the fairest of them all
May this song last forever
May the candles all burn down
We’ll carry on like lovers
On a night out on the town

The days fly by and weeks keep on rolling
But one of these nights
We’re gonna find a moment to ourselves
We’ll stay up a little late
It won’t take too long
We’re dancing in the shoes we’ve got on

We’ll make do with what we’ve got
For whatever come what may
We’ve got each other
Nothing else matters anyway

We drift on like ships out on the ocean
But one of these nights
We’re gonna find a moment to ourselves
I’m at work and you’re still sleeping
I left before the dawn
We’re dancing in the shoes we’ve got on
We’re dancing in the shoes we’ve got on
We are dancing in the shoes we’ve got on

Tracklist:

Let It Slide
So Low, Solo
Golden
How Far Will You Go
Aurora
Miss Missing You
What’s On My Mind
Keep Holding On
Rollin’ Down The Road
Only An Island
Hands Of Time
Shoes

 

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