J. Sintoni – Pickin’ On The Ridge
Go Country Records (2022)

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Troppo spesso J. Sintoni viene definito e presentato come bluesman tout court, anche se lui ovviamente non rinnega il fatto che la sua formazione di base sia stata quella, ma ormai da almeno tre dischi l’artista cesenate ha allargato la  sfera di azione facendo proprie e rielaborando con autorevolezza le influenze di ascolti eccellenti in ambito country rock, folk e blues e condividendo palchi, di qui e di là dall’Oceano, con songwriters maestri nel genere Americana.

Spesso, ad esempio, troviamo Emanuele in tour con il grande, e forse sottovalutato (almeno dalle nostre parti), Grayson Capps, l’artista dell’ Alabama  non potrebbe desiderare ad accompagnarlo in Italia “orchestra” migliore! E ciò equivale ad una laurea in “Americana”.

Ma veniamo a questo quinto album, Pickin’ On The Ridge,  registrato al Crinale Lab di Don Antonio, uno dei nostri massimi interpreti e conoscitori di Americana, diciamo subito che ci ha dato l’impressione di rappresentare  un po’ la summa  della carriera di Sintoni, infatti, ci consegna  un crogiuolo di emozioni e pensieri fissati in registrazione con immediatezza e sincerità che altro non sono se non  “il sale” per i lavori meglio riusciti.

Emanuele si è rinchiuso per due giorni in studio con Lorenzo Sintoni al basso e Angelica Comandini alla batteria e, sotto gli occhi attenti di Don Antonio Gramentieri (che si mette a disposizione ricamando con la sua chitarra in When I Go Home ) hanno dato corpo alle canzoni registrate  in presa diretta, tipo buona la prima o quasi. I nove brani sono gioia per le orecchie in quanto latori, come accennavo, di  un basket di sentimenti che abbracciano malinconia, urgenza espressiva, disincanto e un po’ di rabbia interiore da esternare in questo mondo della musica che, ormai da tempo, è una passione che non può trasformarsi in lavoro.

Alla fine cosa ne è uscito?  Un disco raffinato ed introspettivo, da vero songwriter quale egli è,  in cui le chitarre di Sintoni “scavano” i brani privilegiando un picking chitarristico che punta prevalentemente a smuovere emozioni, proprio perché scevro da inutili “bullismi”, risultando perciò molto funzionale alle canzoni. Poi c’è la voce di Emanuele che cresce disco dopo disco, infatti, ha acquisito la patina e il calore della “maturità” pur risultando chiara, il che  aiuta alla facile comprensione dei testi.

Tra i brani che si fanno preferire piace la bluesata The Fence, molto interessante Ain’t that a Job (a proposito della musica che non si fa lavoro!) brano di elegante abilità da parte dei tre strumentisti che galoppano irresistibili all’unisono, e poi c’è Barefoot Child, malinconica ed evocativa song per  chitarra e voce, tra le mie preferite. Si fa ammirare anche la conclusiva Tribal Dream, la più elettrica del lotto con i suoi accenti sudisti. Ottimo il lavoro di Angelica Comandini, ai vertici tra le signore della batteria in Italia, e di Lorenzo Sintoni alle linee di basso per un accompagnamento ritmico  con i fiocchi e sempre in sintonia con il capo banda a suggello di un disco che silenzioso ti entra sottopelle, da ascoltare e riascoltare ad libitum.

Sarebbe ora che in Italia smettessimo di esaltarci per un peto di un americano scarso e invece iniziassimo, finalmente, ad occuparci  di questi fiori che nascono tra i marciapiedi e l’asfalto,  ne stanno crescendo molti e da diversi anni.

Tracks:

Now

The Fence

Ain’t That a Job

The Incident

Barefoot Child

Song for the Outer Space

When I Go Home

Driving Back Home

Tribal Dream

 

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