Il web fra reale e virtuale

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Nulla di più immateriale della rete. Forse sono più visibili le parole dette che i dati in viaggio attraverso il web. E‘ così? Esiste un mondo virtuale e invisibile, che regola, o aiuta secondo il pensiero di ognuno di noi, la nostra vita?

A leggere i numeri offerti dalla rivista americana The Atlantic non pare proprio. Agli inizi del social network più famoso del mondo, Facebook, i suoi server consumavano annualmente energia quanto seimila case americane e occupavano un intero edificio a Prineville. Oggi i server del network di Mark Zuckerberg necessitano di una dozzina di edifici simili a quello di Prineville. The Atlantic non dice quanto sia il consumo annuale ma il conto è abbastanza semplice.

Se aggiungiamo i Data Center delle altre grandi imprese del web, per restare solo ai maggiori, Amazon, Tik Tok, Youtube, Google lo spazio fisico riempito dai server di queste aziende e il loro consumo di enerigia, occupano  una fisicità non indifferente. Le cosiddette “server fam“, i luoghi fisici ove hanno sede i dati di tutti noi, si estendono ormai per chilometri contendendo lo spazio costruibile alle case e alle altre aziende. In Israele, addirittura, il settore delle “server fam“ cresce più rapidamente di quello immobiliare tradizionale.

Veniamo poi alla voce cavi. Un dato del 2021, ripreso dalla rivista Geopop, afferma essere 426 i cavi che attraversano gli oceani, sui quali corre il 97% di tutto il traffico informatico e un milione e trecentomila i chilometri di questi cavi. Aggiungendo i cavi che portano nelle nostre case le fibre ottiche, raggiungiamo numeri a decine di zeri. Cavi ben visibili nel sottosuolo delle nostre città, sottosuolo che viene aperto per farli passare o per ripararli.

Cosa dire poi delle “terre rare“, diciassette elementi chimici fondamentali per il funzionamento dei nostri apparecchi elettronici. Sono rintracciabili in tutto il mondo, ma la quantità maggiore è presente in Cina, Brasile e Russia. Proprio in Cina, a Baotou esiste il più grande giacimento estrattivo al mondo. L‘estrazione e la lavorazione delle “terre rare“ presenta fortissimi rischi di inquinamento ambientale: la lavorazione di una tonnellata di “tette rare“ produce duemila tonnellate di rifiuti tossici. Per non parlare dei conflitti armati che ogni giorno scoppiano per lo sfruttamento di queste terre.

Il dato sulla lavorazione delle “terre rare“ ci porta a un altro argomento: quanto inquina il web? Qui ci viene in aiuto lo studio “Global Carbon Project“, uno studio sulla sostenibilità promosso dal network internazionale di scienziati Future Earth. Ecco alcuni dati: “se il web fosse una nazione sarebbe la terza al mondo per consumo energetico e la quarta per inquinamento dopo Cina, Usa e India.“ E ancora “il consumo energetico dei data center è pari all’1% della domanda globale di energia mentre le tecnologie digitali sono responsabili di una quantità di emissioni globali di CO2 che si colloca fra 1,4% e il 5,9% delle emissioni globali.“ Per finire, nella fase di addestramento dell‘intelligenza artificiale ChatGpt sarebbero state emesse 550 tonnellate di diossido di carbonio, pari a 550 viaggi andata e ritorno New York  San Francisco.

Facebook e Google hanno concentrato i loro data center in Irlanda. Ebbene oggi i due giganti del web consumano quasi un quinto di tutta l‘elettricità dell‘isola, con una crescita del 400% dal 2015. In molti casi, ed è il dato più preoccupante, questa energia è composta dai combustibili fossili.

Arriviamo all‘ultima e più curiosa “visibilità della rete“: i cosiddetti spazzini del web, coloro che assieme agli algoritmi moderano i contenuti del web, dai social al metaverso. Pagati poco, vedono tutta la “sporcizia“ che gli utenti pubblicano su Internet, diventando censori. Quanti sono nessuno lo sa. Le aziende tengono il dato riservato. Loro stessi non possono rendere pubblico di cosa si occupano.

Ma ecco che il reale riprende anche qui il sopravento. In Kenya duecento ex moderatori di Facebook hanno portato in Tribunale l‘azienda. E viene il bello. Il Tribunale dovrà decidere se è più importante l‘anonimato a cui sono tenuti per contratto (e quindi dare ragione all‘azienda) oppure schierarsi con i lavoratori e infrangere il muro dell‘anonimato che circonda gli “spazzini del web“ rompendo un tabù. E‘ certo che anche questo confronto si svolgerà nelle reali aule di un Tribunale, coinvolgendo magistrati, avvocati e tutto il personale che ruota attorno alla Giustizia. Alla faccia del virtuale.

 

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