Guido Mattioni – La morte è servita
Mind Edizioni, 2024, Pagg. 203, Euro 19.50

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Ho conosciuto il Guido Mattioni scrittore leggendo il bellissimo Ascoltavo le maree (Ink Edizioni, 2013) attraverso il quale mi sono innamorato, pur non avendola mai vista, di Savannah in Georgia. Questo libro era stato consigliato da Seba Pezzani nel suo Profondo Sud. Un viaggio nella cultura del Dixie (Perrone Editore, 2017). In seguito a questa lettura ho iniziato a seguire Mattioni sui social, in particolare su Facebook, e ne ho apprezzato, e apprezzo tuttora, la sua costante lotta contro il cibo spazzatura e sul “malaffare” che regna tra le Big Industry dell’alimentazione e del farmaco.

Se in Ascoltavo le maree Mattioni raccontava una favola moderna e senza confini in cui sogno e realtà si fondono, in La morte è servita ci porta dentro il mondo delle multinazionali che ha conosciuto nella sua lunga carriera di inviato speciale.

L’incipit ha tutto un suo perché e l’ho trovato strepitoso:

Alle 8.15, come ogni lunedì, con elvetica puntualità ferroviaria, la destra guantata in lattice di Fräulein Romilde Sagen iniziò a sbottonare i pantaloni di alta sartoria dell’ingegner Hans Giftig, presidente e amministratore delegato della Shigell Food AG, colosso mondiale dell’alimentazione. Con cautela, delicatezza e gerarchico rispetto, pur se in totale assenza di un qualsivoglia coinvolgimento emotivo e affettivo – per lei era solo lavoro – ne estrasse il pene afflitto, privo di vita e iniziò a manipolarlo e ad accarezzarlo fino a fargli raggiungere una dignitosa verticalità, status indispensabile per poterlo vestire velocemente con un profilattico srotolato dall’alto in basso, portarlo all’eccitazione con un ritmato su e giù e farlo infine arrivare in pochi minuti all’auspicato, ansimante e appiccicoso esito finale.
Succedeva di lunedì. Soltanto di lunedì.

Inizia così un romanzo in cui la notizia di tre incendi nell’arco di 24 ore in altrettanti punti del mondo, lontanissimi tra loro, Francia, Sicilia e Amazzonia, dà da pensare a tre giornalisti di vecchia scuola, squadra di punta di un piccolo quotidiano svizzero, che iniziano a fiutare le scie di bruciato di quei tre roghi, legandoli tra loro.

Se oggi un campo di grano prende fuoco nelle campagne di Marzeppa, o se ne va in fumo una foresta in Amazzonia o in qualunque altro luogo al mondo, può essere soltanto perché ieri, in luoghi molto lontani da Marzeppa, così come dall’Amazzonia, per esempio a New York, oppure a Zurigo, a Milano o a Hohg Kong, un qualcuno con la ‘Q’ maiuscola, incravattato e seduto a una scrivania, ha incaricato un altro qualcuno, ma con la ‘q’ minuscola, un nuddu, un nisciuno, un semplice esecutore d’ordini, un manovale del crimine, di appiccare quel fuoco per quattro soldi. È quasi sempre così. Anzi no, fai pure sempre.

Dall’indagine dei tre giornalisti emergono, via via, i nomi di potenti manager e di strapotenti multinazionali, insieme ad un sospetto di un patto segreto e globale ai danni dei consumatori. E sullo sfondo, nella nebbia del suo anonimato, si muove un insignificante ometto lussemburghese con pochi capelli. Rossi e con il riporto.

Bertrand Brumeux si guardò speranzoso nello specchio, ricevendone però di ritorno la solita smorfia delusa. La stessa, identica. Quella che da troppi anni aveva imparato a conoscere. Alzò le spalle e sbuffò. Lo faceva tutte le mattine.
Il suo specchio, come del resto qualsiasi altro, possedeva quello che è al tempo stesso l’oggettivo dono e l’ineludibile difetto della sincerità, dicendo sempre e soltanto ciò che vedeva. Senza mai mentire.
Nel suo caso, a balzare agli occhi per prima cosa era la calvizie, arrivata molto presto, in giovane età, ma resa ancora più evidente da un goffo riporto di capelli rossicci che gli partiva da dietro, dalla nuca, nell’impossibile tentativo di avvolgere tutto il cranio. Sembrava un sol colpo di pennellessa da imbianchino intinta in una vernice color rosso ruggine. Appariva come un lavoro lasciato a metà.

Con una scrittura di qualità Mattioni riesce a caratterizzare i suoi personaggi in modo molto convincente in tutti i loro aspetti e ci porta dentro una storia appartenente al genere “new journalism”, dove realtà e fiction si fondono in una narrazione che veramente non si discosta molto da quello che noi tutti viviamo in questo periodo storico, dove come dice l’esergo “La gente viene nutrita dall’industria alimentare, che non si interessa della salute, ed è curata dall’industria farmaceutica che non si interessa dell’alimentazione.” (Wendell Berry, scrittore, contadino, uomo saggio).
Bello, interessante e molto esplicativo.

 

Guido Mattioni
Nato a Udine nel 1952, ha vissuto a Milano quarant’anni (vi arrivò nel 1978, assunto da Indro Montanelli al Giornale Nuovo), spesi in importanti quotidiani, settimanali e mensili, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a vicedirettore, incarico che però, da insofferente qual è alle scrivanie, lasciò di sua iniziativa per ritornare al ruolo a lui più congeniale, quello di inviato speciale, in viaggio intorno al mondo e attorno all’uomo. Dal 2015 vive nella Repubblica di San Marino, che ama in quanto luogo di sorrisi e Antica Terra della Libertà. Dal 2022 ne ha acquisito la residenza, pur senza mai dimenticare la sua “casa lontano da casa”, la bellissima Savannah, in Georgia, dov’è cittadino onorario dal 1998. Questo è il suo quarto romanzo, dopo Ascoltavo le maree (2013), Soltanto il cielo non ha confini (2014) e Conoscevo un angelo (2015) – adottati dalla Georgia State University di Atlanta come testi dei corsi di Italiano – raccolti poi nel volume Trilogia Americana (2020), tutti pubblicati da Ink Edizioni.

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