Giulio Redaelli – Tempo sospeso
Autoprodotto, 2022

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È sintomatico il fatto che alcuni nostri chitarristi, parlando di sé, sentano di dover chiarire “io non sono un virtuoso”. Sintomatico di due fatti: primo, che l’immagine del chitarrista oggi, almeno da noi, è schiacciata su quella del “virtuoso”; secondo, che quello che passa per virtuoso è il chitarrista capace di numeri spettacolari o di suonare quantità inaudite di note, e non quello che sa trattare ciascuna nota come se fosse la nota più importante del mondo (e che suona quelle necessarie, non una di più e non una di meno).

Ecco, il lombardo Giulio Redaelli fa parte di questa seconda specie. Inizia la sua formazione tanti anni fa con Maurizio Angeletti, avventurandosi in quel modo di suonare la chitarra di cui Angeletti è stato l’apostolo in Italia: un modo che viene da John Fahey, da Peter Lang, da Leo Kottke, in cui la chitarra folk o blues si affranca dalla funzione di accompagnare il cantato e diventa protagonista di una storia tutta sua. Finita l’esperienza con Angeletti, Redaelli sarà allievo di Duck Baker e poi di Pietro Nobile.

Tempo sospeso è il suo quarto album autoprodotto in ventidue anni e contiene sette brani originali e cinque rielaborazioni. Nella parte più autoriale è un ottimo specchio dell’aria che tira, con i pregi e i difetti che la musica strumentale per chitarra si porta dietro da qualche decennio. Una musica che quando rielabora i linguaggi “tradizionali” lo fa con risultati spesso belli e talvolta bellissimi, e quando usa quei linguaggi per produrre materiale nuovo finisce non di rado nel vicolo cieco di un manierismo un po’ ripetitivo e meno appassionante. Eppure quando riesce ad evitare quel vicolo cieco, come in “Foglie nel vento”, Redaelli si dimostra un compositore che sa gestire la polifonia del fingerpicking con chiarezza di idee e con risultati più coinvolgenti. Altrettanto quando, come in “Forse”, emergono tracce di quella chitarra americana alla Leo Kottke che pure ha nel curriculum.

In qualche misura anche l’immergere la chitarra in un piccolo ensemble che dona alla sua musica varie sfumature folk (con il compagno abituale Socrate Verona al violino e alla viola, Amerigo Cazzaniga alla batteria e alle percussioni, Marco Maggi alla fisarmonica e all’Hammond, Luciano Montanelli al contrabbasso), rivela una convincente intenzione di liberarsi da certe convenzioni della musica acustica.

Fra le cover impressiona la distanza fra una “Wonderful Tonight” un po’ tirata via (è il gioiellino di Eric Clapton, privato di quella sua dolcezza blues e consegnato a quel manierismo di cui sopra) e altri momenti di ben diverso valore. Nel misurarsi con la lenta e complessa “The South Wind”, melodia celtica che riprende verosimilmente dalla trascrizione di John Renbourn, Redaelli dimostra la sua sensibilità nel governare ogni singola nota e ogni pausa. Non è soltanto questione di tecnica: la sua versione è densa ed emozionante, da reggere bene il confronto con i celebri precedenti che conosciamo. Considerazione che vale anche per “Sheebeg and Sheemore”, che rimanda a tanti maestri, fra cui Bensusan e Franco Morone (il chitarrista abruzzese ha riarrangiato e inciso più volte il brano di O’Carolan, diventando un riferimento con cui confrontarsi) e che porta le tracce di un interessante tentativo di Redaelli di cucirsela addosso; e l’esito è una rilettura di composta bellezza.

“Moonriver” (quella che Audrey Hepburn sussurrava sul davanzale in Colazione da Tiffany) è un momento piacevole della scaletta e anticipa un finale che coglie di sorpresa: il chitarrista lo mette lì come commiato, ma è fra i capitoli più belli dell’album (sebbene, nella sua discontinuità tematica rispeto al resto dell’album, appaia quasi come una bonus track). È “Mr. Bojangles” (eh sì, Jerry Jeff Walker) in un arrangiamento con organo Hammond e contrabbasso, che convince anche nell’interpretazione vocale e che lascia un ottimo sapore.

Tirate le somme, fra i momenti felici e quelli che suscitano qualche dubbio, ci sembra di riconoscere un musicista che, al di là del circoscritto e autoreferenziale pubblico della cosiddetta “guitar music”, ha cose da dire anche a quella cerchia più ampia che segue le tracce del folk angloamericano e dei suoi derivati.
E una menzione per Pietro Nobile ci sta tutta: al banco di regia confeziona un suono pregevole, sia nei brani in cui la chitarra è protagonista, sia dove questa dialoga con gli altri strumenti. Chi ne conosce l’enorme esperienza non si attendeva niente di meno.

Tracce

Tempo sospeso
Immagini
Foglie nel vento
Sheebeg and sheemore
Cedar springs
Colori d’autunno
Wonderful tonight
Clipper
Forse
The south wind
Moonriver
Mr. Bojangles

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