Gabriele Priolo – L’amore giallo
Pedro Records, 2023

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Gigi Comolli è stato un pittore milanese che ha goduto, e gode, di una certa attenzione quantomeno da parte dei cultori dell’arte. Nasce artisticamente dopo la prima guerra mondiale e sarà attivo nell’arco di parecchi decenni (morirà nel 1976) in cui dipingerà soprattutto paesaggi di  campagne lombarde. Non un artista radicale, in questo senso, ma con un approccio a suo modo intransigente.
Gabriele Priolo, cantautore ligure (qualche mese fa vi raccontavo su Free Zone del suo precedente La prigione dei pupazzi), di Comolli è nipote credo non direttissimo ma è cresciuto ascoltando i racconti sullo “zio Gigi” e sulla sua carriera da outsider che rifiuta un contrattone per la pubblicità della Coca Cola e che nella sua vita ha compiuto scelte tese più a proteggere l’integrità della propria arte che ad accrescere guadagni e fama.

L’amore giallo è l’album col quale Priolo canta l’eredità di quel personaggio mitico della sua biografia nel quale si specchia e nel quale rintraccia i precedenti di un modo di stare al mondo ugualmente radicale. L’amore giallo è nella sua asciuttezza il modo che Priolo, oggi, sceglie per dichiarare la propria posizione nella realtà che lo circonda e nel mondo della musica, e la posizione è quella da cui è possibile mantenere uno sguardo critico e salvaguardare un margine di libertà.
È un album paradossale L’amore giallo, se è vero che attraverso di esso l’autore si manifesta per dichiarare il suo intento di sottrarsi. Ma questo non vuol dire che siamo davanti a un lavoro ostico o scontroso, perché poi è un disco fatto con amore, con un amore intenso per quella forma di arte che è la canzone. Gli otto brani sono scritti con mano sicura e alcuni di essi sono di quelli che ti rimangono nella testa per un bel po’ — sarà anche per la voce così peculiare dell’interprete, sarà per la composizione asciutta e insieme originale, sarà per i testi che sono sequenze di immagini ben disegnate e altrettanto ben montate.

Una parte dei brani contiene riferimenti espliciti allo zio pittore, ma anche quando questi non ci sono, attraverso le immagini, attraverso una certa postura e soprattutto attraverso l’uso del dialetto milanese, Gabriele Priolo segue le sue tracce.

Priolo ha un certo gusto nello scegliere gli incipit dei suoi dischi, e qui si parte con la fascinosa Gigi: chitarra classica suonata in fingerpicking (anche questi contrasti inattesi sono un po’ la sua impronta tipica, forse anche quelli il segno di un certo fastidio per le ortodossie), la canzone connette la biografia dell’artista a quella del cantautore, è una specie di manifesto dell’album e del suo interprete, ma dichiarato attraverso la voce del pittore: “l’avanguardia è stare indietro / la bocca va al suo posto mica dov’è il naso / e il cuore è sempre quello, l’arte non è solo tecnica”. Dalla parte opposta la canzone che chiude è Pensiero sulla pittura, ancora una volta voce e chitarra, a riprendere il discorso:  “È, in fondo, lo spirito che alita nella vera opera d’arte che ti ferma dinanzi ad essa. / L’avverti, ma non potresti né sapresti indagarlo che è chiuso / entro la forma esteriore, come l’anima in un vivo corpo umano”.
Tutto quello che sta in mezzo mette al centro la pittura per usarla come metafora del mondo o per imitarne la capacità di creare immagini. In Globetrotter è sempre la voce dell’artista a raccontare la ricerca delle condizioni favorevoli per piazzare il cavalletto: “Tele nel sidecar / i pennelli nell’acqua ragia / ecco il posto buono…”. Il funerale dell’anarchico Galli è una storia d’amore e di anarchia con un accompagnamento di piano che si distacca stilisticamente dal resto dell’album e che prende il titolo da un dipinto di Carrà. Mostre è una specie di montaggio in serie di biglietti d’invito a esposizioni e vernissage, come un “blob” che nella ripetizione irride al linguaggio e ai formalismi di un certo ambiente.

L’usellin sembra fortemente autobiografica, con le sue immagini e i suoi riferimenti non sempre espliciti e comprensibili, ma incastonati in luoghi e angoli di mondo che hanno a che fare con episodi della storia dell’arte ma soprattutto con il legame emozionale fra Priolo e questa figura di artista così presente nella sua vita anche se, per quanto si capisce, il tempo non ha mai permesso ai due di incontrarsi.
La potenza di febbraio è imprevedibilmente tratta da un sonetto di Folgòre di San Gimignano. Insieme a Lazza è un altro dei momenti in cui è solo la chitarra ad affiancare la voce e i versi di Priolo.

Dicevo a proposito dell’album precedente che quel che aveva da dire lo esprimeva non solo attraverso un pugno di canzoni ma anche attraverso il suo modo di organizzarle e di porgerle. L’amore giallo è una dichiarazione di insofferenza, di libertà, di autonomia, e lo è anche attraverso il modo in cui si sottrae alle regole, lo è col suo modo di presentarsi così, un bel giorno e senza preavviso, nella sua veste essenziale — sia per quanto riguarda la musica che la confezione (ah: al momento si trova solo sulle piattaforme streaming).

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