Gabin Dabiré – R.I.P.

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Ho conosciuto personalmente Gabin nel giugno 2008 in un concerto nel Mantovano e sebbene prima lo avessi già ascoltato su disco, grazie all’entusiasmo con cui Antonio Breschi/Antoni O’Breskey mi parlava delle loro collaborazioni musicali e di cui era molto orgoglioso, ne rimasi impressionato per il carisma di persona mite e piena di fascino, per la voce capace di interpretazioni originali ed intense e dal suo amore sconfinato per le sue radici native.
Personaggio profondamente autentico sapeva ben esprimere la sua passione per la cultura africana, non perdeva occasione di parlare del suo Burkina Faso da cui proveniva, di origine principesche e “misteriche” come la sua residenza nel castello toscano di Vertine. Gabin Dabiré è stato artista di grande sensibilità, di profondo spessore culturale e rara umanità, è scomparso il 9 giugno 2023 a 68 anni.

Dabirè naque il 19 febbraio del 1955 a Bobo-Dioulasso, nel Burkina Faso, uno stato dell’Africa centrale da una famiglia di etnia Dagarì. A 20 anni vince una borsa di studio in Danimarca che gli offre la possibilità di approfondire gli studi della musica sperimentale europea, della musica classica e contemporanea, tra il 77 e 79 continua la sua ricerca musicale in oriente tra maestri di Sitar, Sarod, e di percussioni asiatiche. Approda anche in Italia grazie ad un invito rivolto al suo gruppo Piano Africa a partecipare all’edizione del 1976 del Festival del Proletariato Giovanile organizzato al Parco Lambro dalla rivista di controcultura “Re Nudo” di Andrea Valcarenghi; grazie a questa partecipazione collaborerà con artisti come Franco Battiato, gli Area e Mino Di Martino dei Giganti. Si stabilisce inizialmente a Milano dove si dedica agli studi di etnomusicologia con Vittorio Franchini con cui scrive il libro “Suono Nero” e realizzando con la sua compagna Elena Trissino Dal Vello d’Oro il progetto del “Centro di promozione e diffusione della cultura africana”.

L’incontro con Walter Maioli, già fondatore degli Aktuala, gli permette di continuare nella sperimentazione con le musiche etniche, africane e orientali e con Riccardo Sinigaglia con quella delle sonorità elettroniche e dei sintetizzatori, i due formano i Futuro Antico ed è infatti di quel periodo l’album Dai primitivi all’elettronica. La sua voce è unica, come la sua chitarra, la zanza (kalimba africana) e il balafon (xilofono dell’Africa sub-sahariana).
Gabin con Sinigaglia ha partecipato anche ai progetti Correnti Magnetiche e The Doubling Riders, ed entrambi parteciperanno poi nel giugno 2021 a Il suono delle api di Walter Maioli.

Nel 1987 si trasferisce con la compagna e i due figli piccoli (Ricky e Gioia) sulle colline del Chianti in un Castello di Vertine ed è proprio in questo periodo che inizia il suo percorso di cantautore e vengono alla luce gli album Kontomé (1987) con l’etichetta New Sounds Planet, Afriki Djamana: music from Burkina Faso (1994) e nel 1996 con dei nuovi arrangiamenti di Kontomé per la Amiata Records. Nel 2002 esce il suo capolavoro Tieru, per la “ntuition Records traducibile con “Riflessioni” dove Gabin esprime al meglio la sua personalità musicale, la delicatezza e l’eleganza del suo cantato, le atmosfere magiche della sua Africa e dell’India.

Nell’anno successivo inizia la collaborazione con Antonio Breschi/Antoni O’Breskey con cui incide il disco The New Orleans Jig (2003) dove i due musicisti si augurano una nuova fusione della cultura africana con quella irlandese come già successe nel 1600 quando gli Inglesi deportarono insieme schiavi irlandesi e africani nelle Indie Occidentali. Nasce una grande amicizia che li porta ad esibirsi insieme in molti teatri europei e che si tradurrà nella collaborazione di Gabin anche a When Jazz was an Irish baby (2009) e a Nomadic aura (2009).

Nel 2006 Gabin lavora ad un progetto di fusione di jazz e musica etnica che si avvale della collaborazione delle voci delle Le Balentes, il sax di Daniele Malvisi e le percussioni del fratello Paul che prenderà il nome di Gabin Dabirè Sextet: Inverse live è un disco molto variegato, impreziosito da tutte le sfumature artistiche maturate nei suoi viaggi attraverso la musica di culture e tradizioni che hanno catturato la sua poetica raffinata e impegnata. Il tutto ben rimarcato anche dalla sua voce così particolare per dolcezza e fermezza, così sognante e graffiante. Porterà in giro per l’Italia questo progetto passando anche per la “nostra” rassegna musicale: Musica in Collina a Olgiate Comasco, in coerenza con la sua forte volontà di diffondere le sue amate radici e tradizioni africane.
Nel 2010 esce una sua compilation dal titolo AnniVersery 1955 che ripercorre musicalmente la sua carriera e sopratutto rendendo merito alle sue più importanti collaborazioni, Gabin Dabirè dà voce, chitarre e percussioni a 12 brani che riuniscono: Jackie Perkins, Daniele Malvisi, A. O’Breskey, Le Balentes, Guido Sodo, Peppe Barra, Davide Viterbo e Michele Giuliani. Dalle note del disco:”Gabin ci riaccompagna ogni volta, con la sua musica, in luoghi dell’anima ove persino le lingue tradizionali in cui compone e canta (dagari, bambarà) ci risuonano toccanti e familiari, come suoni ancestrali o poesie archetipiche: nella sua storia musicale, infatti, a specchio di una vita di viaggi e creativi incontri tra culture, le radici africane si modulano variamente in personalissime tessiture sonore, intrecciandosi con i suoni, i modi, i ritmi del mondo.”

Nel 2023 vengono alla luce due sue collaborazioni a progetti molto interessanti, il primo disco per l’amiata Records: The Hands con l’artista visuale e fotografo Flavio Piras e i musicisti Paolo Fresu, Antonello Salis e Furio di Castri. Molto rappresentativa la copertina del disco con una mano di colore e una mano bianca che si stringono in una fraterna alleanza, arricchito dal CD-Rom con le installazioni multimediali di Flavio Piras contiene oltre 60 foto africane.
Il secondo disco uscirà il 26 maggio 2023, pochi giorni prima della sua scomparsa: E-Wired Empathy di Amighetti-Nobis-Dabirè per Esagono Dischi / The Orchard. Giovanni Amighetti spiega che il titolo è dovuto al fatto che “per suonare così ci vuole molta empatia (è la base dei rapporti umani non solo della musica), da qui parte il nome del collettivo: i musicisti devono ascoltarsi e per farlo ci vuole un buon interplay”. Luca Nobis (chitarra), Roberto Gualdi (batteria) e Giovanni Amighetti (synth analogici). “Se si concepisce la musica come effettivamente è, e cioè una forma di linguaggio, il disco è il frutto di una gran bella chiacchierata: dialoghi tra culture, dialoghi che favoriscono l’integrazione.”

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