Evasio Muraro – l’intervista per Free Zone

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Evasio Muraro è un’artista che abbiamo nel cuore. Per i suoi trascorsi con i Settore Out, una delle band più importanti della storia del Rock di questo paese, per la sua carriera che dopo la fine dell’avventura con i Settore Out ha toccato pagine diverse che potrete leggere nelle righe che seguono. Il pretesto nasce dall’uscita del suo ultimo lavoro, Non Rientro, un album molto interessante del quale vi abbiamo parlato su Free Zone,  e ricco di spunti che ci hanno spinto voler chiacchierare con lui….

Evasio, hai una storia musicale piuttosto lunga e articolata. Vuoi ripercorrerla per raccontare ai lettori di Free Zone il tuo percorso?

Sì, davvero è una bella storia, molto lunga e complessa. Sono partito da un piccolo gruppo dove ci eravamo improvvisati, prendendo in mano gli strumenti e inventandoci persino dei festival per trovare degli spazi dove suonare e poi finalmente un bel giorno abbiamo deciso di diventare musicisti, con molta convinzione e anche con un po’ di ingenuità, e abbiamo formato i Settore Out. Con Settore Out ho vissuto dieci anni molto intensi, poi dopo lo scioglimento tra il 1995 e il 1996 ho seguito Michele Anelli nei Groovers e nei Flamingo e un po’ di altre esperienze, poi ho prodotto e collaborato con altri musicisti, ma nel frattempo ho cercato di mettere insieme una carriera tutta mia, provando di volta in volta a trovare le persone adatte al progetto. Credo che lo sforzo maggiore sia stato Scontro tempo, perché c’era un gruppo, c’erano i cori dei Gobar, c’era la produzione di Chris Eckman, insomma, un bel casino. Forse è per quello che con Non rientro sono voluto a tornare a fare qualcosa di più essenziale.

I Settore Out sono stati, a mio avviso, una delle migliori band italiane, purtroppo durata poco tempo. Perché un gruppo così non è riuscito ad esprimersi per un periodo più lungo, privandoci di album che avrebbero potuto darvi quella fama che avreste meritato?

Fondamentalmente, eravamo una band operaia e il nostro limite è stato che dovevamo fare tutto da soli. In quelle condizioni è inevitabile perdere lucidità e non riuscire a compiere le scelte giuste. Ci siamo trovati a incidere quello che doveva essere il nostro disco definitivo fANTASMI, che poi è uscito venticinque anni dopo proprio nella situazione estrema di cogliere l’attimo. Da parte mia ho vissuto fANTASMI dalla prima nota all’ultima con la consapevolezza che stavamo facendo uno sforzo artistico enorme, ma purtroppo nello stesso tempo era venuta a mancare una sintonia tra di noi e lo scioglimento è stato un passaggio direi naturale. Negli ultimi tempi pur continuando con il nome Settore Out avevamo persino cambiato la formazione cercando di riparare un po’, ma alla fine ci siamo resi conto che non era più la nostra storia. 

La tua carriera solista si è contraddistinta per album di buona quando non ottima qualità, sia a livello di testi che musicalmente. Hai voglia di riprenderli singolarmente per raccontarci qualcosa di ognuno di loro?

Il primo lavoro è stato Passi, era un lavoro acerbo, intuitivo però raccoglieva in quel momento i frutti di un percorso. Era scarno perché non avevo la necessità di un grande suono, piuttosto avevo l’urgenza di tirare fuori qualcosa e Passi è nato proprio con quello spirito lì e ti devo dire che alcune cose mi piacciono ancora adesso. Canti di lavoro della Lombardia è stato un album retaggio della cultura operaia che seguivo già con Settore Out. È qualcosa che mi appartiene e quando si è presentata l’occasione di approfondire l’argomento, è venuto tutto molto spontaneo, compreso l’uso del dialetto. Canzoni per uomini di latta è ritenuto spesso il mio disco più completo e credo che, sì, ci sia stato un salto di qualità a livello generale, sia nella scrittura che negli arrangiamenti. È un disco che mi appartiene molto. O tutto o l’amore esprime già nel titolo quello che poi viene rappresentato nel disco. A distanza di anni, ho trovato persone che mi hanno detto di aver compreso il senso ultimo di O tutto o l’amore e per me è stata un po’ una scoperta. Scontro tempo, come dicevamo prima, è stato un po’ lo zenith di tutto un gruppo di amici, influenze ed è stato un po’ anche un punto di rottura. Ammetto che è stato anche molto faticoso perché abbiamo provato all’infinito. Un bellissimo percorso, ma quando sono arrivato alla fine ero esausto, ma molto contento perché in quel momento era proprio quello che volevo fare. Per quanto le mie canzoni partano sempre dalla chitarra acustica, mi è sempre piaciuto cambiare atmosfera, collaborazioni, suoni e con Scontro tempo dal quel punto di vista è stato un’esperienza ricchissima. Per contrasto, all’inizio Non rientro doveva essere un disco acustico, ma poi mi sono ritrovato con Fidel Fogaroli che conosco da anni e ci siamo capiti al volo e lui è riuscito a tirare fuori quello che in realtà era un po’ nascosto in queste canzoni.

Non rientro è il tuo ultimo lavoro che presenti dal vivo con Nagaila Calori e Fidel Fogaroli. Come mai questa scelta di esibirti con un combo ristretto, che sembra comunque avere un’ottima resa come ho potuto verificare in occasione della presentazione del disco a Cerro al Lambro?

Come ti dicevo, Fidel Fogaroli è riuscito a trovare l’atmosfera giusta e ha trovato qualcosa di nuovo per le mie canzoni. Tieni presente che è tutto suonato davvero. Abbiamo usato un sacco di campionamenti, ma tratti da strumenti che abbiamo suonato noi. Alla base, è tutta musica vera e ci tengo a ribadirlo ed è per quello che forse le canzoni mi piacciono ancora di più per come le suoniamo in trio, dal vivo. Tra noi c’è grande stima e per me è importante perché ho di fronte due grandi musicisti da cui posso imparare, oltre che divertirmi, naturalmente.

Quali sono i tuoi riferimenti per quanto riguarda la scrittura, sia a livello letterario che a livello musicale?

Non ho dei riferimenti precisi, sono sempre stato un po’ onnivoro. Non so, per esempio mi piace moltissimo la scrittura di Joe R. Lansdale perché ha un modo di mostrarti le storie molto vicino al fumetto, che adoro. Nello stesso modo mi piace, per esempio, Don Winslow. Lo stesso vale per la musica: amo moltissimo Ivan Graziani o Ivano Fossati e sono sempre stato attratto dai musicisti più innovativi, penso a Camerini o a Bennato, perché alcune delle sue cose sembravano fuori dal mondo. Poi vado un po’ a periodi: ho amato gli Wilco che ho ascoltato talmente tanto che adesso quasi non li sopporto più. Mi piace moltissimo Peter Gabriel e sono rimasto legato ai dEUS, che continuano a piacermi tantissimo.

C’è un punto dolente, almeno a mio avviso che riguarda la confezione del disco. Penso sempre che gli album dovrebbero avere sempre una confezione che renda giustizia al disco. Posso solo immaginare che la scelta sia dovuta a ragioni di costo…

Mah, no… Devo dire che è stata una scelta spontanea. Ero e resto molto concentrato sulla musica, per cui volevo qualcosa di essenziale, che mi rappresentasse senza troppi contorni. E poi nella copertina, opera della pittrice Sara Zuccotti, mi sono riconosciuto subito, e ho pensato che bastava giusto quella.

Hai in programma date per quest’estate, e dove possiamo trovarle? Dove si può acquistare il tuo disco, oltre che ai concerti?

Sì, come ti dicevo Non rientro è destinato a tutto un suo percorso dal vivo, per cui stiamo organizzando diversi appuntamenti, sia nella formazione completa, con il trio, sia da solo, con un repertorio un po’ più allargato. Per tutte le informazioni seguitemi sui canali digitali miei e della Fragile Dischi.

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