Esordire a 57 anni…..Vincenzo Tropepe si racconta a Free Zone

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Abbiamo incontrato Vincenzo Tropepe, musicista poliedrico e dotato di una spiccata curiosità ed una certa incoscienza, che lo ha portato ad esordire a 57 anni con un gran bel disco come Cammisa Janca  (https://www.giannizuretti.com/articoli/vincenzo-tropepe-cammisa-janca/ se volete recuperare la recensione del disco) che non poteva non finire nel mirino di Free Zone. Vincenzo è un uomo semplice ma con una grande passione per ciò che fa, ed un’umiltà che, da quando lo conosco, me lo ha fatto sempre apprezzare. Ghiotta occasione chiacchierare con lui per capire meglio questo album d’esordio e dell’Impala Tour concluso da poco in compagnia di Alessio Laganà.

Vincenzo, ci racconti come nasce l’idea dell’ Impala Tour che ti ha portato a fare oltre 3000 Km partendo dalla tua Polistena per arrivare fino a Bergamo e poi tornare a sud verso casa?

Ciao Marcello e prima di tutto permettimi di ringraziarti per avermi dedicato questo tempo. Dunque, l’idea, anche se in maniera più ridotta, è nata anni fa e precisamente quando ho avuto la fortuna di avere il grande Damon Fowler mio ospite insieme alla sua band. Avevamo in programma un “tour” tra Calabria e Sicilia ed è stato qui che  la mia follia mi ha suggerito di effettuarlo a bordo della mia “signorina”. E’ stato un viaggio allucinante, pieno di momenti pazzeschi come quando, ad esempio, arrivati vicino Enna ci ha beccato la neve e ricordo che i ragazzi sono rimasti estremamente colpiti da questo paesaggio così insolito. Vedere la città (che tra l’altro è il capoluogo più alto d’Italia con i suoi circa 930 metri s.l.m) coperta dalla neve e immersa nella nebbia ci aveva fatto sentire come se fossimo stati sbalzati direttamente ad Avalon: incredibile!!!

E’ dunque  per lo stesso motivo, la mia sana follia, che ho pensato di allargare la cosa e girare l’Italia facendo ogni giorno delle tappe gastro-musico-paesaggistiche, permettimi il termine. Però ho pensato che da solo sarebbe stato monotono, che mi serviva una compagnia che arricchisse il mio progetto e chi meglio del mio amico Alessio Laganà, mi sono detto.

Alessio è un famoso Dj e così ho confezionato un pacchetto con l’offerta di una mia esibizione come One Man Band dal titolo My Own Journey, seguito dal suo Dj set. E devo dire che, anche se ci sono state occasioni in cui uno dei due show, a turno, non si è potuto tenere,  ogni momento è stato ricco di soddisfazioni. Insomma, in undici giorni abbiamo girato tutta la penisola con giro di boa a Varese a La Viscontina, dove ho avuto il piacere di incontrarti, realizzando così un mio sogno di sempre: viaggiare a bordo della mia bella e fare musica, due  mie grandi passioni.

Cosa ti porti dentro di questo bellissimo viaggio attraverso l’Italia? Quali i momenti più emozionanti che puoi raccontarci?

Porto dentro la gioia di aver conosciuto gente nuova, di aver fatto nuove amicizie e visitato posti incantevoli. Suonare nei vari club è stato magnifico e constatare che non avevamo mai la tensione che solitamente si ha prima dello spettacolo, ci ha fatto sentire rilassati e nel posto giusto ogni volta. Ma se vogliamo parlare del momento più emozionante è stato sicuramente la partenza. Mettersi in viaggio sapendo che ti aspettano più di 3.000 Km a bordo di una Chevy Impala del ’68 in una situazione completamente nuova ti fa pensare a qualsiasi cosa, nel bene e nel male. Quel giorno io e Alessio ci siamo dati un forte abbraccio, come a consolidare il nostro legame e dirci: andrà tutto bene, amico mio ( e giusto per citare una delle mie band preferite: and the road goes on forever)!

Ti ho visto live alla Viscontina. Come è stato suonare con Eilen Rose e quel “mostro” di Rich Gilbert (chitarrista veramente incredibile)?

(Rich Gilbert & Vincenzo Tropepe ph.M.Matranga)

Per questo episodio meriterei di stare in un angolo e vergognarmi per almeno un’ora anche se ancora rido se ci penso. Allora, essendo io una persona molto semplice, non mi sono reso conto subito di chi avevo al mio fianco e quindi, prima di iniziare a suonare, mi sono rivolto a Rich dicendogli che mi ricordavo di lui, che sicuramente ci eravamo già visti prima dato che ricordavo il colore della sua chitarra! Devo essere sincero, a volte mi stupisco di come riesco a fare delle figuracce cosmiche, fatto sta che mi sembra ancora di vedere il sorrisetto che gli si è stampato in faccia, quasi a voler dire: “Ah, si? Di me non ti ricordi ma della mia chitarra si?”

Ecco, questo è forse l’unico ricordo che preferirei archiviare anche perché quello che è seguito è stato veramente emozionante, specialmente quando ho chiesto se potevamo suonare Moonshiner nella versione Uncle Tupelo, là stavo svenendo. E ringrazio Andrea Parodi per la grande opportunità ed l’ onore che mi ha dato nel consentirmi di suonare, anche se per una manciata di canzoni, con tre grandi musicisti. Naturalmente, ho proposto anche qualche brano del mio nuovo disco e cantare in dialetto calabro con musicisti di quel “calibro” (scusa il gioco di parole), è stato come toccare il cielo con le mani; Eileen Rose, poi, è stata strepitosa.

(Vincenzo Tropepe & Eileen Rose Ph.Marcello Matranga)

Passiamo adesso al tuo disco, il primo album a tuo nome. Certo non si può dire che la tua sia l’età in cui normalmente vediamo esordire un artista. Partirei chiedendoti come mai hai atteso tanto tempo per realizzare questo sogno?

Effettivamente è strano anche per me. La verità è che ho sempre avuto questo “sogno nel cassetto” che però, per tanti motivi, non ho mai aperto. Considera  che fino a pochi anni fa svolgevo la mia attività di fotografo che mi impegnava molto visto che ho sempre dato priorità al lavoro e, vox populi, anche con notevoli risultati per cui ero costretto a mettere da parte le altre passioni. Ho comunque dato il mio contributo a tantissimi artisti e infatti le mie chitarre, il mio basso e addirittura la batteria, si trovano sparsi in decine di dischi in giro per il mondo. Ad un certo punto della mia vita ho sentito che era il momento di lasciare tutto e vivere il mio grande amore, la Musica, che io adoro e vivo come manifestazione di Dio. Ho quindi lasciato tutto alle spalle e ho iniziato a dedicarmi in toto a questo meraviglioso campo scrivendo l’intero album (che in origine era in inglese) durante la pandemia e in qualche traccia è percepibile l’angoscia che provavo per tutto ciò che stava accadendo. Alla fine, mi sono detto che quella sarebbe stata la migliore occasione per registrare un disco. Ed eccomi qua.

Per realizzare questo desiderio ti sei recato al Crinale, un posto che sembra  essere permeato da un alone magico/mistico. Da li continuano ad uscire opere pregevoli, tra le quali questo bellissimo Cammisa Janca. Perché hai scelto questo studio, e come è stato lavorare con Antonio Gramentieri ed i suoi compagni di viaggio?

Ho sempre considerato Don Antonio (Grammo) uno tra i migliori talenti in Italia e non solo come musicista ma anche come arrangiatore e produttore. Lui ha alle spalle tantissime collaborazioni con musicisti veramente talentuosi del calibro, tra gli altri, di Alejandro Escovedo, Dan Stuart, gli stessi Sacri Cuori e tanti altri.

E’ iniziato tutto quando scese in Calabria  Dan con tutta la band. Quel giorno è stato memorabile e non mi sembrava vero di aver conosciuto il “ Grammo”. E’ nata così la nostra amicizia, un’amicizia sincera sia con lui che con i ragazzi e anche con Dan con il quale ancora ci scriviamo.

Ricordo che Don mi disse che quando sarei stato pronto sarei potuto andare su al Crinale a registrare il disco Tropepe, come scherzosamente voleva chiamarlo. Il Crinale, come dici tu, è un posto magico dove se cerchi la musa ispiratrice la trovi senza nessuno sforzo. Ora immagina  che dopo due giorni di registrazioni, Don arriva e mi dice: “Ho sognato che  cantavi tutti i brani in dialetto calabrese!”

Se non sono svenuto, c’è mancato poco!  Non mi era mai passato per la testa di fare una cosa simile, forse perchè avevo anche qualche pregiudizio sulla mia lingua, onestamente.  E poi si trattava di rifare  tutto e la cosa mi spaventava. Però, qualcosa dentro mi spingeva a rifletterci su e dopo un poco di travaglio interiore mi sono convinto. Mi sono rinchiuso nella mia stanzetta ( il Crinale è un borgo medievale stupendo) e cosi ha iniziato a prendere forma l’album in dialetto Cammisa Janca. E’ stata dura ma ne è valsa la pena anche grazie  ai fantastici musicisti, Don Antonio ovviamente, Nicola Peruch, Roberto Villa, Piero Perelli, Sergio Marazzi e i cori fatti da Daniela Peroni e Denis Valentini che hanno dato vita e colore a questo mio progetto. Li ringrazio dal profondo del cuore.

Cammisa Janca è un disco in dialetto calabrese. Perché questa scelta non semplice, di proporti nella lingua che si parla nella tua zona piuttosto che in italiano o in inglese?

Bella domanda! Come dicevo pocanzi, la scelta non è stata mia ma di Don Antonio, lui “aveva visto la luce”, probabilmente. Per me  all’inizio è stata dura, sai, perché qui in Calabria esistono migliaia di gruppi che cantano in dialetto e non sempre mi ritrovo nelle modalità e nei temi trattati per cui i pregiudizi erano tanti, pensavo a come avrebbe reagito il pubblico e mi sembrava di peccare di presunzione. Insomma, ero intimorito dai possibili giudizi e critiche mentre invece, ad onor del vero, il disco sta piacendo veramente tanto. Scherzando dico che ascoltare il disco in calabrese per chi non dovesse capire l’inglese risulterebbe la stessa cosa: non capisci le parole ma ti fai portare dalla musica, come spesso avviene.  Alla fine, cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia e quella che parla a tutti, in modo universale, è sempre e solo Lei.

Ho letto pareri molto favorevoli su questa opera. Tu, ora che il disco è stato pubblicato, che idea ti sei fatto di questo album e del suo risultato finale?

L’unica cosa che mi sento di dire è che il disco vuole essere semplice, senza troppi fronzoli, vuole essere ed è, in un certo senso, lo specchio della mia anima. Anche il fatto della scelta del B&N o delle foto che ritraggono paesaggi rupestri calabresi, vuole dimostrare la genuinità del lavoro. Non sono un super tecnico e non mi sento un grande musicista, io quando suono mi sento levitare, entro in uno stato di coscienza come se mi trovassi in mondi paralleli. Potrebbe sembrare che sto esagerando ma per me oggi la Musica è tutto. I grandi mi hanno insegnato tanto ed io posso dire di avere ascoltato milioni di dischi e letto centinaia di libri e tutto questo ha fatto di me una persona piena di felicità e gioia di vivere, di conseguenza ciò che scrivo e suono non può che arrivare direttamente dal cuore ed io oggi, considerando i tre bypass, ne ho uno nuovo pronto a nuove esperienze…nonostante la veneranda età. Il disco più lo ascolto e più mi piace e questa è una bella cosa.

Progetti futuri per promuoverlo?

Tanti! Adesso è arrivata veramente l’ora di promuoverlo per cui ho affidato tutto ad un’agenzia, ho l’ufficio stampa e tutto ciò che serve per farlo al meglio. Spero veramente di poterlo suonare in giro, sarebbe come coronare definitivamente il mio sogno. Attualmente ho una band supersonica, stiamo mettendo su lo spettacolo e siamo in trepidante attesa di aggiungere date al tour che, come recitava una vecchia pubblicità, terremo “ presto nei peggiori bar di Caracas”. Scherzi a parte, non vediamo l’ora di condividere musica ed emozioni con quanta più gente possibile. In fondo, fare il musicista è soprattutto questo.

 

 

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