Ellen River, Life, la musica, i libri, il suo mondo…..
Una lunga intervista ad Ellen River, autrice del bellissimo doppio album Life.

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Di una cosa non ho dubbi. Quando ho ascoltato Ellen River la prima volta, era l’agosto di un anno fa, cantare ho avuto la subitanea certezza che in certe occasioni arriva: qui siamo di fronte ad una donna che sa cantare per come Dio comanda. Non la solita imitazione di qualche affermata star, o presunta tale, in arrivo da qualche parte con qualche oceano di distanza, ma una cantante, anche scrittrice dei suoi brani, testo e musica, con una marcia decisamente in più. Poi un post di un amico, Antonio Boschi che ne certificava la bravura mi ha reso certo che non avevo visto male. Da quel momento è iniziato un passa parola con gli amici per cercare di farla conoscere il più possibile. Ho lavorato per portarla live a Chiari, ed ha colpito molti dei presenti. Poi è finalmente arrivato Life, un doppio album stupendo, ed allora ecco la consacrazione. Parlare con Ellen è un piacere. E’ una donna che trasmette energia, allegria, simpatia a piene mani. E quando parla di musica le si illumina il volto. E lo fa con competenza, umiltà ed una bella dose d’ironia. Di Life abbiamo scritto su Free Zone, ma ormai potete leggerne ovunque su tutte le riviste ed i web magazine che si occupano di musica. Era proprio il momento per fare una lunga chiacchierata con lei. Mettetevi comodi e…buona lettura.

Come mai hai scelto di darti un nome d’arte e perché proprio questo?

Il nome d’arte è nato in modo molto naturale per quanto mi riguarda. Ellen è come mi chiamano gli amici per cui è stata una scelta immediata, così come lo è stato River, il fiume, la mia acqua, elemento che adoro e del quale non riesco a fare a meno. Sono poi, in effetti, nata tra due fiumi.

Vuoi raccontarci come nasce l’Ellen River cantante che oggi stiamo apprezzando?

Nasce dalle esperienze fatte, dagli ascolti musicali radiofonici o attraverso musicassette, cd e vinili, dalla lettura di libri, dai moti d’animo, dalle difficoltà e dalle gioie, dall’acqua dei fiumi, dalla natura, dalla terra polverosa e distese dell’Emilia, ma più che altro Ellen River è una parte di me che negli anni ha preso coraggio e ha deciso di farsi sentire.

Lost Souls è uscito nel 2018. Ma prima era uscito un album, Otis, a nome Elena & The Seekers che sembra essere impossibile da recuperare. Ci racconti qualcosa di quel disco?

Otis è un disco che mi sono divertita tantissimo a registrare insieme ai miei amici musicisti, un disco registrato in live recording in economia ma con uno spirito di condivisione immensa e tanta voglia di stare bene. È un album attraversato da influenze rock, blues e soul, un disco acerbo se vuoi, ma che a mio parere nella sua semplicità faceva presagire le mie intenzioni e la rotta che stavo iniziando a tracciare per i miei progetti futuri. Per chi fosse interessato si può trovare on line in formato liquido su Soundcloud.

Nel disco c’era un gruppo di musicisti piuttosto noti. Come sei entrata in contatto con loro e come mai la scelta di affidarti a loro come band che ti accompagnasse in quel lavoro?

Lost Souls era un progetto, il primo a nome Ellen River, per il quale volevo un sound americano. I musicisti che hanno suonato nel disco avevano a mio avviso il suono giusto, anche perché la mia intenzione era fare un disco in live recording alla vecchia maniera per cui avere una band come quella, fatta di musicisti rodati da anni, con molta esperienza e molto affiatati tra loro che rotolano ben amalgamati insieme, era un valore aggiunto per poter raggiungere quell’obiettivo che mi ero prefissata. Ci siamo conosciuti qui a Modena, dal momento che siamo tutti emiliani, alcuni miei concittadini appunto o della Provincia di Reggio Emilia.

Cinque anni di distanza fra Lost Souls e questo nuovissimo Life. In un lustro la vita di molte persone è cambiata completamente. La pandemia credo sia stata un’esperienza che ci porteremo dentro per sempre. E’ stato lo stesso per te immagino?

Un lustro che contiene davvero tante esperienze di vita ed accadimenti, non per ultimi la pandemia e un problema molto grave di salute che mi ha scardinato all’improvviso l’esistenza proprio durante i periodi di quarantena. Gli ultimi anni sono stati davvero una corsa disperata verso la luce, una ricerca del bello e del godere dell’istante, del non abbattersi o meglio di concedersi di poterlo fare ma anche di abbracciare quel momento di brutture per poi ritrovare la spinta per riemergere, attaccandosi al bello, alla musica, all’arte e alle persone che hanno saputo starmi accanto.

Una delle cose che sento e leggo regolarmente, ma confesso di averlo pensato anch’io, è che Life è addirittura doppio. Io amo ascoltare i dischi piuttosto a fondo per cercare di entrarvi e comprenderli il più possibile. E devo dire che dopo una serie piuttosto lunga di ascolti, trovo che Life sia un disco proprio come quelli che piacciono a me. Vari, con molti spunti musicali interessanti, insomma quei dischi che si ascoltano con piacere perché contengono un numero incredibile di belle canzoni. Come nasce un disco del genere?

Credo nasca da un’esigenza viscerale di comunicare qualcosa, che siano messaggi od emozioni, una volontà di raggruppare tutta una serie di moti d’animo a tratti altalenanti ed opposti, a tratti affini e correlati. Un calderone di emozioni che non era semplice racchiudere in un solo album, per cui ho deciso di pubblicarne uno doppio perché del resto  è poi quello che è la vita, un contenitore immenso di luci e di ombre, di difficoltà e di gioie, un alternarsi che avanza imperterrito e che non ha fine, una ciclicità che a tratti rasenta il mistico. Incidere e produrre un doppio album ai giorni nostri è un progetto alquanto anacronistico a meno che non si tratti di band o cantautrici già affermate nel panorama musicale. Mi sono sentita dire da parecchie persone di non farlo, di dividerlo a metà, di farne uscire due separati magari in tempistiche differenti, di non rischiare. Io ho seguito il mio istinto, la mia voce interiore, non sapevo se era giusto o sbagliato, ho sentito dentro che era semplicemente la cosa da fare e che soprattutto volevo fare.

La registrazione del disco è stata fatta a Deck Lab Studios, Come mai la scelta di questo luogo?

Ho vissuto tanti anni a Rimini e là ho conosciuto musicisti bravissimi che sono poi diventati amici e ai quali mi sono rivolta per chiedere consiglio su uno studio professionale che potesse andare bene per il mio progetto corposo ma soprattutto per un progetto di “americana music”. Il nome di Gianluca Morelli e del Deck Lab sono emersi più volte e li avevo anche individuati tramite ricerche on line, per cui mi sono fidata di questa segnalazione e ho voluto incontrarlo per raccontargli del mio progetto e della mia visione musicale.

Life è co-prodotto da te e Gianluca Morelli. Una scelta ulteriormente impegnativa. Temevi che il sound che avevi in mente potesse essere modificato rispetto a quella che era la tua idea, ed è per questo che ti sei fatta affiancare in questa fase?

Quando io e Gianluca ci siamo conosciuti avevo già in testa un sound molto preciso e definito, un intento ben delineato che volevo a tutti i costi portare avanti ma soprattutto traghettarlo nella realtà attraverso gli strumenti dei musicisti che hanno partecipato al progetto. Nella mia mente le canzoni suonavano già nella loro interezza per cui la sfida era tradurre questo arrangiamento mentale in arrangiamento concreto, essendo nate voce e chitarra ma allo stesso tempo già equipaggiate di idee di eventuali strumenti da utilizzare, mood e sound. Gianluca ha immediatamente capito le mie intenzioni e volontà, siamo entrati in un’immediata sintonia avendo anche molti riferimenti di ascolti musicali in comune ed è riuscito ad entrare perfettamente nel mood seguendo il tutto con grande dedizione, professionalità e passione, ed affiancandomi nella produzione del disco. Gli ho anche dato alcuni riferimenti musicali di band o artisti che amo tanto cercando di trasferirgli in modo più concreto quanto gravitasse al momento nella mia testa e come avrei voluto veder “sfilare” le mie canzoni vestite con il sound giusto. Sono stata sicuramente molto presente e Gianluca sarà arrivato anche a non sopportarmi più probabilmente con le mie richieste, ma da questo lavoro di squadra credo sia uscito un qualcosa che va al di là della musica, è una condivisione di vita e di emozioni che rimane nel cuore. Il suo lavoro è stato preziosissimo, così come quello di tutte le persone che hanno partecipato al progetto. È importante capirsi, avere le idee chiare, essere schietti e avere alla base stima e rispetto reciproci.

Tu dai la netta sensazione di essere una donna che ha ascoltato, e ascolta tutt’ora molta musica. Quali sono i tuoi riferimenti musicali, e cosa prediligi, almeno in questo momento?

Negli anni ho sempre ascoltato davvero tantissima musica di generi diversi, continuo ad ascoltare montagne di musica quotidianamente perché credo sia il modo migliore di trascorrere le giornate, sia di rimanere aperti alle novità e al mondo. La mia predilezione va alle cantautrici americane come Lucinda Williams, la mia stella guida nelle avventure della vita insieme all’accoppiata June Carter/Johnny Cash, Sheryl Crow, Miranda Lambert, Erika Wennerstrom (leader anche dei Heartless Bastards, band che adoro), Emmylou Harris e poi tutta una serie di nuove leve meravigliose e talentuose come Nikki Lane, Jaime Wyatt, Sierra Ferrell, First Aid Kit, The Secret Sisters, Emily Scott Robinson e tantissime altre che ciclicamente cerco e scopro nei miei vagabondaggi on line. Adoro poi cercare artisti che non conosco nei negozi di dischi, ormai luoghi ridotti all’osso ma che fortunatamente possono ancora contare sui loro gestori, coraggiosi diffusori di cultura che resistono stoicamente ai “cambiamenti climatici del music business”. Rimangono poi i miei baluardi Creedence Clearwater Revival che ascolto regolarmente perché mi fanno stare bene, così come i Rolling Stones, Neil Young, il rock anni 60/70/90 anche italiano, i miei amatissimi Mark Lanegan e Robert Plant che sono un mantra quotidiano.  Mi fermo con l’elenco perché non vi meritate una lista della spesa infinita! 

Life è un concentrato di generi diversi. C’è la ballata indie/rock, quella classicamente Country, c’è il Blues, insomma tutto il mondo musicale che frequentiamo e che ci riserva sempre grandi soddisfazioni. Sentendo il disco oggi che è finalmente uscito quali sono le tue sensazioni? Cambieresti nulla?

Non cambierei assolutamente nulla, Life è diventato esattamente quello che avevo scritto, composto, ideato e sognato. Non potrei essere più orgogliosa di questo progetto corposo e impegnativo, completamente e volutamente autoprodotto. La sensazione è la più bella del mondo, un orgoglio per il lavoro fatto, sudato e voluto così tanto, denso di sacrifici e impegno.

Si evince chiaramente la cura che è stata riservata ai vari aspetti di questo album: la confezione, le fotografie, l’inclusione dei testi, i musicisti che vi hanno partecipato. Ci parli di questo aspetto?

La cura e l’amore sono stati essenziali per questo doppio album, devi amare il tuo progetto per poterlo curare con tutta l’attenzione necessaria. Ho voluto sin da subito collaborare con persone che ho pensato potessero affezionarsi al progetto, affinché la cura non fosse solo una mia esigenza e necessità, ma diventasse anche la loro. Ho voluto un packaging speciale, che rappresentasse in tutto e per tutto quello che è racchiuso in esso, tutte le emozioni racchiuse in Life. Un booklet con i testi, visto che io stessa da fruitrice musicale ho sempre sperato di trovarlo per poter cantare le canzoni insieme all’artista o alla band in questione, scatti in location che amo, le foto dei musicisti e i pensieri che mi sono sentita di condividere con le persone a cui ho dedicato il disco. Per tutto questo devo ringraziare Antonio Boschi di A-Z Blues che ha curato meravigliosamente il packaging trovando lo stile adatto e scattando lui stesso le foto che sono poi state inserite all’interno e in copertina. E’ stato un lavoro di squadra, così come quello fatto con i musicisti bravissimi che mi hanno accompagnata in questo viaggio e hanno messo un pezzetto del loro cuore attraverso gli strumenti che hanno suonato.

Resonance è un pezzo strumentale bellissimo. Come mai hai deciso d’inserirlo visto che non canti?

Resonance è per me un brano importantissimo, come puoi sentire è stato sviluppato sul suono in sottofondo di una risonanza magnetica. È un brano viscerale che mi emoziona molto, io sono presente non con la voce ma con il mio fischio. Adoro fischiare, sin da bambina mi è sempre piaciuto farlo e sentirlo fare, quando incontro qualcuno per strada che pedalando in bicicletta fischietta, non riesco a fare altro che sorridere e sentire un’ondata di calore nel cuore. Mia nonna ha sempre fischiettato anche mentre faceva i fatti in casa e così un qualcosa che sembrava faticoso o impegnativo diventava leggero e pieno di note musicali. Ho voluto portare il fischio in questo brano che ho scritto perché l’atmosfera è tesa e polverosa, come in un duello western dove la sabbia, il caldo torrido e l’incognita di ciò che accadrà portano sensazioni di paura e irrigidimento. Il suono della risonanza è un qualcosa di disturbante e preponderante, che può far scaturire paura e imprevedibilità, ho voluto pensare a qualcosa che contrastasse il tutto, un qualcosa che ti desse l’idea di cavalcare verso l’orizzonte, comunque vada, qualunque cosa accada. Chi ha dimestichezza con le risonanze sa benissimo di cosa sto parlando e mi piace pensare questa canzone possa aiutare chi deve affrontarle, una canzone da fischiettare mentalmente in un momento di agitazione, in un momento dove ci si sente soli contro un qualcosa che non si può controllare, un fischio amico che ti guida verso l’orizzonte, qualunque esso sia, con l’aria tra i capelli e lo sguardo puntato sul rosso abbagliante del sole che tramonta. Considero questo brano un mio microscopico tributo alle atmosfere morriconiane, atmosfere senza tempo che emozionano sempre come la prima volta.

Hai scelto come singolo la title track dell’album. A me pare vi fossero anche altre potenziali indiziate a partire da The Wheel, un pezzo che amo tantissimo. Come mai questa scelta?

Ci sono parecchie canzoni che si prestano ad essere singoli a mio avviso, ma Life porta anche il nome dell’intero album e rappresenta un po’ a livello lirico il filo conduttore del disco, l’ambivalenza della vita, delle emozioni, del quotidiano, le luci e le ombre, che in definitiva è poi lo spirito generale della mia musica. È un motivo orecchiabile e leggero che è in netta contrapposizione con il testo brusco e schietto, mi piaceva utilizzare questa ambivalenza come apripista delle “danze” radiofoniche. 

Better Than Me è una canzone che canta di soprusi. Un tema di rilevanza assoluta oggi come oggi…

La violenza domestica o la violenza in generale è una tematica purtroppo sempre troppo attuale. La violenza che sia fisica, psicologica o praticata in altre forme, è presente nel quotidiano di tante persone che ogni giorno lottano per cercare di reagire a questo tipo di sopruso. La violenza è vigliaccheria, codardia, ignoranza e pochezza. Siamo spesso testimoni di un mondo in cui la violenza prevarica la gentilezza, l’educazione, il confronto rispettoso e il dialogo. Ritengo sia importante parlarne.

Anche Elettroshock mi sembra una canzone importante, con un tema doloroso…..

Non bisogna andare troppo indietro negli anni per leggere o ascoltare storie di donne che, solamente per un carattere espansivo, vivace o semplicemente fuori dai dictat sociali dell’epoca, per la loro intenzione di non uniformarsi ai tradizionali percorsi di vita matrimoniale/famigliare, per problemi di depressione o difficoltà emotive, venivano internate e sottoposte alle cosiddette “cure” che puntavano ad “aggiustare” le persone come se fossero oggetti rotti e non esseri viventi con una propria dignità, carattere e personalità. Un tema doloroso difficilissimo da affrontare, avevo timore di non riuscire a raccontare con delicatezza l’orrore emotivo, ma ho chiuso gli occhi e ho lasciato scorrere la penna sul foglio, provando a raccontare questa storia piena di amore, di sacrifici, di rinunce, di abusi e soprusi, di tenerezza e fragilità, di coraggio e di speranza rivolta al cielo.

Out Of The Storm è molto interessante e si stacca dal resto delle altre canzoni. La sezione ritmica movimenta il pezzo, la chitarra elettrica a fare da perfetto corollario alla tua voce. E’ quasi uno spoken incalzante, al quale segue una ballata soffusa come Lucy….. Come nasce un pezzo come Out Of The Storm?

Out of the storm nasce come brano rock, quando l’ho scritta era ovviamente solo voce e chitarra, poi quando siamo andati in studio a registrare abbiamo lavorato con i musicisti che hanno capito l’intento del brano che volevo mantenere assolutamente rock arrabbiato e la tensione intrinseca, per cui piano piano è uscita questa canzone nevrotica che sembra evolversi ma che invece rimane ancorata ad un ritmo ipnotico incalzante che racchiude perfettamente le emozioni che attraversano il brano. Si stacca a livello sonoro e vocale essendo praticamente un parlato, ma non a livello compositivo e di intenzione. C’è un filo conduttore che percorre tutto l’album che è l’americana music in tutte le sue sfaccettature, c’è la vita, altro contenitore di sfaccettature ed influenze di esperienze ed emozioni. 

In ventisette brani ci sono spesso cambi di intonazione vocale spesso sorprendenti. Quanto esercizio ha richiesto arrivare ad avere una capacità del genere?

Innanzitutto grazie, non è una capacità della quale sinceramente sono cosciente del tutto, quando canto esprimo in un qualche modo la mia anima e farlo attraverso la musica è per me un qualcosa di naturale e vitale, proprio come lo scorrere dei fiumi. Ho sempre cantato tanto e tanti generi musicali, che fossi in casa o su un palco, quando da ragazzina acquistavo una musicassetta, un cd o comunque un album nuovo non vedevo l’ora di aprire la confezione per leggere i testi nel booklet e poter cantare insieme all’artista in questione, seguendo la sua voce o improvvisando le seconde voci e cori. Questa credo sia stata una bellissima palestra, è anche attraverso l’emulazione che si sperimenta da giovani, si parte da un qualcosa di già esistente e predefinito per poi attraccare negli anni in altri porti dove si impara a trovare la propria voce, la propria modalità espressiva ed il proprio stile.

La chiusura del disco è affidata ad un pezzo come Gonna Sleep With My Dreams. Svegliarsi ed affrontare la realtà è piacevole adesso, o preferiresti continuare a vivere i tuoi sogni?

C’è una frase che ho sempre amato di Edgar Allan Poe «Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte». Vivere con i sogni accesi anche di giorno credo aiuti non a sfuggire la realtà, ma a mantenere il collegamento con quello che vorremmo realizzare nella nostra vita e a vedere ciò che ci accade intorno anche da altri punti di vista attraverso chiavi di lettura diverse. Gonna sleep with my dreams racconta di quando la realtà o le persone intorno uccidono le nostre “farfalle” ovvero la propensione e l’apertura all’emozione, la nostra verve, spesso lo fanno in modo silenzioso a piccoli passi fino a portarci a non sentire più nulla…e allora canto che andrò a dormire con i miei sogni, dove riprenderò contatto con la mia essenza, con chi sono e con che cosa vorrei per me e mi riprometto che farò di tutto per trovare la mia dimensione di appagamento e gratitudine.

Cosa leggi? Quali sono i tuoi autori preferiti?

Amo molto leggere, soprattutto biografie degli artisti, che siano musicisti o altro, libri legati alla musica, alcuni in italiano altri direttamente in lingua originale in quanto mai tradotti. Ho divorato Il sogno di un hippie di Neil Young, Sing backwards and weep e Devil in a coma di Mark Lanegan, Life di Keith Richards, The long hard road out of hell di Marilyn Manson, L’Angelo bruciato di Dave Thompson su Kurt Cobain, etc..Ci sono poi scrittori che amo particolarmente come Bill Bryson (Una passeggiata nei boschi è per me un libro assolutamente da leggere, mi ha regalato tante emozioni), Fannie Flagg con il suo Pomodori verdi fritti, J. R. R.Tolkien con Il Signore degli anelli, J. K. Rowling con la saga di Harry Potter, Nick Hornby con il meraviglioso Alta fedeltà e tanti altri libri deliziosi che ha scritto mantenendo sempre un filo conduttore con la musica che per lui è un elemento imprescindibile, Levi Henriksen con Norwegian Blues dove racconta di un bagno nel fiume che sembra quasi di essere lì con lui sotto le stelle in mezzo alla natura e dove la musica è magia e la vita incredibile nella sua imprevedibilità. La lettura, insieme all’ascolto di tanta musica, mi ha portato a viaggiare con la fantasia e a scoprire terre lontane e racconti, mi hanno influenzata sicuramente a livello creativo e cerco di trasmettere tutto questo attraverso le mie canzoni.

Il sogno dal punto di vista musicale per la tua carriera nel cassetto?

Il sogno sarebbe poter vivere solo ed esclusivamente di musica, senza compromessi di genere o altro continuando ad essere libera di esprimermi come lo sono ora. Poter fare esperienze all’estero o comunque potermi mettere alla prova confrontandomi con altre realtà che possano farmi crescere artisticamente, poter vivere la musica ancora più a pieno. Accompagnare le persone nel quotidiano con la mia musica sarebbe davvero un privilegio.

Adesso ci sono recensioni, concerti, interviste….La dura vita della musicista o non vedevi l’ora di tutto ciò?

Credo tutto questo sia una meravigliosa esperienza per chiunque faccia musica inedita, è la speranza che hai quando crei qualcosa di tuo, avere la possibilità che la tua “creatura” possa fare viaggi lontani e che possano arrivare alle persone le emozioni che hai cercato di veicolare attraverso le canzoni. Quando scrivo lo faccio in prima battuta principalmente per me, per esternare emozioni o per raccontare storie e diapositive di vita, ma poi il condividere le canzoni con gli altri, vedere che diventano parte del loro quotidiano o che anche solo per poco possono farli sentire capiti, non soli e parte di una comunità musicale è davvero un regalo immenso per cui ben vengano i concerti, le interviste e anche le recensioni!

Grazie a Federico “Freddie” Matranga per la foto di copertina e a Gabriella Ascari per lo scatto all’interno dell’articolo.

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