Damir Ovčina – Preghiera nell’assedio
Keller, 2023, Pagg. 697, Euro 22.00, Traduzione di Estera Miočić

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Neve fino al bordo dei fermaneve. Mio padre davanti al nostro condominio, con una pala. Indossa una giacca militare, marchio Tanker. È girato di spalle. Io attraverso il parcheggio innevato. Prendo una manciata di neve dal ramo di un pino e ne faccio una palla. I suoi occhi verdi.
Ah, eccoti qui.
La porta del garage sollevata. Lui si riscalda le mani col fiato. Fiocchi di neve attaccati al suo cappuccio. Gennaio. Cielo bianco.
Va’ ad aiutarla!
Lascia fare a me!
Vado ad accendere la macchina.
La Buba azzurra risponde al secondo tentativo. Dalla marmitta esce un nuvolone di fumo. La bicicletta Pony appoggiata agli scaffali del garage. L’auto vuota accesa davanti al portone. La portiera destra aperta. Neve sul parabrezza. Mio padre solleva i tergicristalli e la rimuove con la mano nuda, senza guanto. Ghiaccio ai margini dei gradini. Ne salgo due alla volta. Batto i piedi per far cadere la neve dagli stivali. Odore di cibo per le scale. In casa l’aria calda della stufa elettrica. Mia madre mi chiama per nome. Si alza in piedi, avvolta da una coperta a quadretti.

Inizia così un romanzo allucinante. 697 pagine psicotiche per descrivere anni di orrore e di assedio.

Siamo a Sarajevo, nel 1992; c’è appena stato il referendum per l’indipendenza e la comunità serba prende le armi.
Il protagonista, un giovane bosniaco a cui è appena morta la madre, si viene a trovare nella parte sbagliata della città nel momento sbagliato. Il quartiere di Grbavica viene conquistato dai serbi e lui si trova separato dal padre e dalla fidanzata. Viene arruolato a forza in una squadra della “protezione civile” che si occupa di scavare trincee, della sepoltura dei morti e dello svuotamento delle case.

La porta di un’abitazione aperta. Cose sparse sulla soglia. Nel soggiorno un divano marrone tranciato con un coltello. Macchie di caffè e una grande džezva blu sul tappeto vicino al tavolino basso. Due quadri staccati dalla parete e lasciati sul parquet sotto la finestra. Dall’altra finestra la vista sul Trebević. Nella camera da letto due corpi. Un uomo sulla cinquantina. Una donna in vestaglia sotto la finestra. Girata di fianco. Cose sparse ovunque. Sulla parete sopra la testiera del letto diversi buchi. Di fianco al letto un cuscino con una fodera blu a fiori bianchi. Il capo entra, emette un gemito, si fa il segno della croce. Si siede sulla sedia alla destra del letto matrimoniale. Tira fuori un fazzoletto, si asciuga prima la fronte, poi gli occhiali. Stende bene il fazzoletto, per poi ripiegarlo. Il mio compagno si mette a piangere sottovoce, dice che finiremo tutti ammazzati e si siede per terra. Il capo mi ordina di allontanarmi dalla finestra, perché ci manca solo che crepi per mano della mia stessa gente. Prendo il lenzuolo dal letto e lo stendo sopra la donna. I suoi occhi chiusi. Indossa una vestaglia a fiori. Avviciniamo il corpo del marito al suo.

Con un ritmo nevrotico e claustrofobico, feroce e lineare, essenziale e tragico, Ovčina dà vita ad un libro unico, ad un reportage dal cuore della guerra, scrivendo per ricordare e per non dimenticare.
Ovčina racconta come la guerra arrivi mentre fai l’amore o vai al funerale di tua madre, con il volto del vicino di casa o del compagno di scuola. La guerra è fatta di furti e di stupri; Sarajevo e la sua multiculturalità che rappresentava non esiste più.

L’assedio di Sarajevo è durato quattro anni, 1460 giorni ed è costato circa 12.000 morti e 52.000 feriti. I cecchini sparavano anche sui funerali e giardini e campi di calcio sono diventati luoghi di sepoltura

Non si può che confermare quanto riportato nel risvolto di copertina: “un’opera prima sorprendente che spiazza il lettore, lo getta nell’assurdità della guerra, nell’inferno sofferto dai civili, ma che è anche capace di scorgere la speranza tra le macerie, dove l’arte e l’amore possono sempre fiorire.

Di quanto successo tra il 1991 e il 1995 (senza dimenticare il Kosovo del 1998 e del 1999) appena fuori dal giardino di casa nostra se ne sa ancora troppo poco. Libri come questo servono per “cercare” di capire che cosa è effettivamente successo e soprattutto far accrescere in tutti noi il senso di colpa per essere stati testimoni indifferenti ad una delle più grandi tragedie dell’umanità.

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