Può la bellezza essere “feroce” come recita il titolo del disco in oggetto? Si ! se a proporla sono le narrazioni (fattesi canzone e spesso racconto ) dei Cowboy Junkies, la band canadese che da oltre 37 anni mette in musica un cargo di emozioni condivise e da sempre tira dritto per la propria strada, senza benché minimi condizionamenti dalle mode, proponendo il proprio trade mark, attraverso un mix irresistibile di blues, rock, country, folk e psichedelia.
In questo nuovo album (il diciassettesimo in studio), Such Ferocious Beauty, scavano ancora più in profondità tra alcuni concetti su cui sembra immanente quello della provvisorietà che ci riserva la vita. E’ sempre doloroso e destabilizzante per un musicista mettersi a nudo, magari piegato sotto il maglio del dolore che spesso l’esistenza riserva (ad esempio la perdita di una persona cara), pensiamo quindi quali sentimenti abbiano attraversato la realizzazione di queste canzoni per una band costituita da tre fratelli e un amico d’infanzia che in poco più di tre anni, oltre a vivere come tutti le pressioni e i guasti della pandemia, hanno perso prima la madre e poi hanno visto il padre aggredito e vinto dalla demenza, condizione che quotidianamente lo ha rapidamente annullato fino a portarlo alla morte. Molto di questo parlano le canzoni ma anche dell’evoluzione negativa del mondo che ci circonda, e sono canzoni malinconiche, con una tragicità spesso in filigrana che comunque non condiziona la piacevolezza dell’ascolto, forse per il consueto effetto omeopatico che la buona musica ci riserva.
Ci sono canzoni che si palesano in tutta la loro bellezza solo dopo ripetuti ascolti, e si insedieranno nel lotto delle migliori mai scritte dalla band, c’è la meravigliosa e conturbante voce di Margo Timmins, brunita dallo scorrere degli anni, che resta una delle più emozionanti del panorama rock contemporaneo, ci sono le chitarre di Michael Timmins che anch’esse sono immediatamente distintive e regalano passaggi di grande versatilità e come sempre colpiscono per la varietà delle soluzioni, c’è il basso di Alan Anton (produttore dell’album e co writer di tre canzoni) che riesce, oltre a dettare le linee ritmiche, a creare anche linee melodiche di grande pregio, ci sono la batteria e le percussioni di Peter Timmins, il terzo fratello, che imperversano con discrezione e grande personalità ed infine ci sono i profondi testi delle canzoni tutti a cura di Michael. I brani non sono cantabili, non propongono ritornelli memorizzabili ma sono dei mosaici musicali, nel consolidato stile Cowboy Junkies, spesso ipnotici che si incendiano improvvisamente soprattutto grazie alle sciabolate chitarristiche acide di Michael e, se hai anima, “ti portano via”.
Le canzoni che si innalzano? Sicuramente il brano di apertura What I Lost che tratta del veloce disgregarsi delle capacita mentali del padre “Mi sono svegliata questa mattina / non sapevo chi fossi” canta drammaticamente Margo immaginandosi, mettendosi nei panni del genitore, la consapevolezza a nel perdere la memoria, poi Circe and Penelope, che vede una grande interpretazione di Margo e l’intervento del violino di James McKie, pesca nella mitologia greca e tratta delicatamente sempre il tema dell’assenza e della perdita, forse il brano più in linea con i dischi del passato dei CJ, Shadows 2 e Knives sono altri due brani splendidi, specie il blues ipnotico di Knives sempre con il violino a sottolineare il canto di Margo, un brano che sarebbe piaciuto molto a Jim Morrison.
Such Ferocious Beauty è da consumare, ad ogni passaggio escono cose nuove, siamo comunque a livello dei migliori album dei Cowboy Junkies che sono ancora qui dopo 40 anni, stessa formazione, molte idee, anche nuove e ciò non è poca cosa.
Tracklist:
What I Lost
Flood
Hard To Build. Easy To Break
Circe And Penelope
Hell Is Real
Shadows
Knives
Mike Tyson (Here It Comes)
Throw A Match
Blue Skies