Beppe Gambetta – Terra Madre
Autoprodotto (distr. Egea Music), 2024

Beppe Gambetta: Terra Madre
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Beppe Gambetta è arrivato al quindicesimo album attraversando fasi diverse e diversi orizzonti nusicali, a partire dagli anni in cui si è affermato come maestro della chitarra bluegrass. Fanno trentasei anni di dischi, legati — per quanto eterogenei stilisticamente — dalla sua classe immensa di chitarrista, ma anche da un tema forte che li percorre tutti: vale a dire l’incontro, la condivisione, la gratitudine verso i maestri e i compagni di strada e di palco. Perché ciascuno di quei lavori nasce da relazioni — prima del giovane Beppe Gambetta coi propri maestri, poi del musicista di levatura internazionale che li chiama amici. Nel 2020, con Where The Wind Blows / Dove Tia O Vento, è diventato anche autore di canzoni e quel sentimento di connessione e di appartenenza ha cominciato a cantarlo.
Il 10 aprile è arrivato Terra Madre, un album che suona ora come un grido sommesso, ora come una preghiera: tanto che quel sentimento di connessione sembra diventare qualcosa di vicino a un potente senso del sacro, uno sguardo verso un “oltre”. Un senso del sacro ma coi piedi piantati per terra, che a volte è una terra ferita — vedi la terra evocata da quel rumore di passi pesanti che apre la canzone del titolo, e con essa tutto l’album. Perché quando l’autore presenta Terra Madre come un album sul “diritto di sognare”, è chiaro che non si riferisce al sogno autoconsolatorio che protegge dalla realtà: al contrario è un sogno che fa muovere, che costringe a camminare, che reclama di incarnarsi.

Il sacro, dicevo: lo trovi nel racconto dei due personaggi che dalla terra devastata immaginano quelli al di là del confine e sognano di raggiungerli, non li vedono, non sanno dove si trovino, ma sanno che pregano per loro. Lo trovi nella convinzione che se c’è una parte del mondo che ruba, offende e opprime, ce n’è un’altra che nella cura, nella convivialità, nel sogno e nella musica offre alla Terra e ai propri simili un’altra possibilità (“Per poco o per niente”).
Lo trovi nel protagonista di “Dark Yellow Thread”, divorato dal desiderio di vendicare il tradimento di sua moglie, che ripensa alle parole di un vecchio indiano e fa un’altra scelta.
E a proposito di “Dark Yellow Thread”: se prendete il modo in cui Beppe Gambetta fa suo un genere narrativo così consolidato — la murder ballad — e lo destruttura, vedete un musicista che guarda alla musica dei padri con amore ma senza riverenza, se ne impadronisce e dice la sua. Terra Madre d’altra parte è un album che si prende la responsabilità di parlare con voce alta e autorevole. Prendete la deliziosa “Un panino” — era uscita come singolo un paio di anni fa e qui si ritrova in una versione rimixata — in cui Gambetta si immedesima in un afflitto Fabrizio De André che guarda giù da un qualche aldilà. È una canzone che irride all’industria del tributo che addomestica e banalizza l’eredità del cantautore genovese. La canzone è un gioiello di scrittura, ma è anche una presa di posizione senza ambiguità. E mica tutti potrebbero permettersi il lusso di parlare in prima persona a nome di De André ed essere altrettanto credibili.

Il ricordo di De André ritorna anche in “Mis Amour”, antica canzone provenzale che il cantautore incise coi Troubaires De Coumboscuro, qui in un adattamento di grande fascino. E a continuare quella connessione con chi non c’è più il chitarrista torna a evocare Doc Watson con “St. James Hospital”, che rimarca quegli umori ispanici che nella versione del 1964 erano appena suggeriti.
È una canzone di un dolore senza speranza. Dolore e speranza si rincorrono lungo le tracce dell’album: la stessa “Sit and Pick With You”, la cui uscita aveva preceduto l’album di qualche settimana, e che già avevamo nel cuore come una piccola grande canzone sull’amicizia, in mezzo al resto assume tutt’altre proporzioni e ci appare, in fondo, sorella di “Per poco o per niente”, salvo che il grande tema — le cose che valgono e che restano per sempre — qui è cantato nella cornice delle cose intime, dei desideri individuali.

Il finale è lo strumentale “Season of Suspension”, che è una di quelle magie in cui Beppe Gambetta è maestro, quando prende un tempo di danza e lo dilata per lasciar respirare tutta la bellezza che è nascosta in quell’apparente semplicità. È una chiusura gioiosa, perché in fondo qual è il senso di imbracciare una chitarra, se non quello di far sì che le ombre non si prendano l’ultima parola?

Terra Madre è un album importante nella discografia di Beppe Gambetta e nella musica che ci piace, e a realizzarlo ci sono come sempre al suo fianco i migliori amici: c’è la chitarra di Dan Crary, c’è il mandolino di David Grisman, c’è la voce di Tim O’Brien, c’è il contrabbasso di Travis Book e di FJ Ventre. Da altri mondi sonori ci sono l’armonicista jazz Howard Levy e il batterista Joe Bonadio.

Gambetta è un innovatore della chitarra a plettro e può serenamente fregiarsi del titolo di virtuoso. Ha suonato coi più grandi, è rispettato e seguito a livello internazionale. Sa cantare, poteva fare la scelta di scrivere testi che gli permettessero di esprimersi come grande chitarrista qual è, e campare tranquillo — chi avrebbe mai protestato? Invece ha fatto un album di canzoni vere, di robuste folk song che si sporcano le mani, che hanno l’ambizione di dire qualcosa sul mondo e che lo dicono senza reticenze. Evviva.

Tracce
Terra Madre

Saint James Hospital
Sit and Pick with You
Per Poco o per Niente
Dark Yellow Thread
Un Panino
Mis Amour
Season of Suspension

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