Andrea “Lupo” Lupi. Intervista ad un musicista “senza confini”
(Photo courtesy Sabrina Marianelli)

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L’uscita di SoLo di Andrea “Lupo” Lupi mi ha decisamente affascinato. Un artista poliedrico dai mille interessi e attività, con idee intriganti come ha confermato il suo disco del quale ho avuto il piacere di raccontarvi recentemente. L’idea dell’intervista è stata automatica. Troppi i motivi di curiosità che mi hanno spinto a contattarlo. Questo è il frutto della chiacchierata fatta.

 

Andrea, intanto complimenti per il tuo album che, come sai, ho trovato molto bello. Come mai ci hai messo tanto tempo per pubblicare un disco a tuo nome, considerando che sei nel “giro” da anni?Grazie Marcello, i complimenti fanno sempre molto bene, danno fiducia in sè stessi. Vedi, io sono sempre stato un eminenza grigia, è innegabile che il mio contributo sia stato determinante in tante band sia con musicisti stranieri che italiani e i colleghi me lo hanno quasi sempre riconosciuto fortunatamente. Questo credo che sia dovuto in parte al mio essere principalmente bassista e cantante, ma anche compositore/arrangiatore e, per onestà, al mio timore reverenziale verso la Musica, quella con la M maiuscola. Poi, piano piano ho acquistato maggiore consapevolezza della mia presunta caratura artistica e mi son chiesto se non fosse il momento di lasciare una traccia di me…

Quanto tempo è trascorso tra l’idea di registrare un disco a tuo nome e la sua effettiva pubblicazione?uff! Potrei scherzosamente rispondere “una vita” ma in realtà considerando che tra miei progetti e collaborazioni varie ho almeno una ventina di pubblicazioni alle spalle non sarebbe giusto rispondere così perché ho sempre cercato di mettere qualcosa di me in ognuna. Però è vero che la gestazione di “SoLo” arriva da lontano, è frutto di tante esperienze; comunque ho iniziato a lavorare con Roberto a Novembre 2021, ci trovavamo io e lui, si sorseggiava un pò del prosecco che lui stesso produce, si parlava di musica, di politica, di figli, di donne e nel frattempo si suonava qualcosa

Nel disco ci sono molte cover. Mi ha colpito moto l’intro di If It Be Your Will di Leonard Cohen tratto da Various PositionRoberto Molesti, che nel disco suona il pianoforte, introduce il brano usando, con una tonalità diversa Gymnopédie No 1 di Erik Satie, compositore francese che compose in tre brani diversi questi celeberrimi pezzi di musica classica. Come nasce un’idea simile?

Questo brano avevo iniziato ad eseguirlo nello spettacolo teatrale di Dario Marconcini e Giovanna Daddi (fondatori del Piccolo Teatro di Pontedera e premio Ubu alla carriera nel 2019), uno spettacolo sui poeti della Beat generation dove mi alternavo tra chitarra e basso eseguendo alcuni blues. Il brano in qualche modo mi è rimasto addosso, ma non l’ho mai inteso come una semplice ballad, piuttosto come un talkin’ blues, molto intimo, sospeso. Roberto, mentre provavamo e cercavamo, si è lasciato sfuggire questo passaggio che io conoscevo perché tra i miei schizofrenici ascolti annovero anche Debussy, Satie,…così ho detto a Roberto che era proprio quello che cercavo e lui è riuscito a riprodurre lo stesso sapore in una altra tonalità e in un contesto diverso. Complimenti a te per averlo riconosciuto!

Mi piacciono molto le riletture che dai dell’iniziale Solitude (Duke Ellington), Billy di Bob Dylan (Pat Garret & Billy the Kid). Quali sono le ragioni di scelte di canzoni simili?

Non sono un jazzista ma amo il jazz, specialmente quella parte che è intrisa di blues, non necessariamente dal punto di vista armonico quanto come approccio. Nel disco ci sono almeno tre brani che testimoniano questo mio amore, certamente resi come io li sento dentro. Per esempio l’arrangiamento  per il brano di Mingus nasce in maniera del tutto spontanea, mi risuonava nella testa da anni, una sera ho provato a suonarlo con il basso elettrico a orecchio, senza alcuna partitura davanti, e così è rimasto, ovvero mezzo tono sotto l’originale. Per “Billy” si apre un capitolo a parte. Dylan è stato capace di fare dischi assai discutibili come capolavori usando tre accordi, uno di questi casi è la colonna sonora del film di Sam Peckinpah. Quando ancora ragazzino giravo l’Europa strimpellando una bellissima chitarra folk DiGiorgio (che ancora possiedo) era uno dei brani che amavo suonare, per me è ancora oggi metafora di libertà e anarchia, che non significa caos come molti vogliono far credere. C’è della magia in quel brano, io mi emozionavo a suonarla e ancora oggi è più forte di me

Nel disco c’è una traccia nascosta, ovvero Motion Pictures di Neil Young (tratta da On The Beach ). Una scelta in linea con il mood del disco o solo perché è un pezzo che ti piace?

Si, è nascosta perché non volevo nei titoli di copertina dare l’impressione che il disco virasse troppo verso il folk ma di mantenerlo in bilico tra blues, jazz ed episodi acustici dove ho potuto divertirmi a suonare anche le mie due ultra-vintage lapsteels; però mi dispiaceva non includere il brano che per i temi che tratta è idealmente vicino al concept generale e poi On The Beach forse il disco più blues di Neil Young, è uno dei vinili che ho consumato nella mia adolescenza.

Le canzoni a tua firma denotano una varietà di stili molto interessante. Non segui una linea ma dai la sensazione di essere tu stesso alla ricerca di qualcosa che ti piaccia veramente per poi metterlo su un pentagramma. E’ un’impressione corretta, o è solo un caso che vi sia una tale varietà?

L’impressione è corretta, tendenzialmente divido la musica in due macroscopiche categorie, bella e brutta. Direi che musicalmente sono onnivoro e le mie esperienze musicali sono davvero tantissime, ho suonato e inciso artisti dal Nepal, Marocco, Capo Verde, Portogallo, Francia, etc…e con una lista infinita di americani. Alla fine mi sembra che tutti cerchiamo la stessa cosa. Ovviamente ci sono dei generi musicali in cui sento di esprimermi in maniera più consapevole e di riuscire a parlare di me in modo più onesto, anche quando uso metafore e questi sono i linguaggi che ho usato nel disco. Blues, jazz. songwriting, manouche, folk…

Come hai coinvolti i musicisti che ti accompagnano nel disco?

Nel disco sono coinvolti 9 fantastici musicisti, tutti con un bel percorso alle spalle, alcuni veri e propri virtuosi e comunque tutti tecnicamente preparati. Sinceramente però, non è stato questo l’aspetto più importante, io ho chiesto a tutti di capire quello che volevo raccontare brano per brano, volevo che scavassero dentro se stessi come io stavo facendo con me, alla ricerca di qualcosa al di là del nostro ego. Lo hanno fatto tutti, eppure ci sono dentro dei nomi che avrebbero avuto un blasone da difendere. E’ stata un’esperienza molto bella averli in studio, cosa che ripeteremo dal vivo.

Suoni diversi strumenti. Qual è quello che preferisci di più?

Ecco, qui vado in difficoltà. Come bassista direi che sono in grado di suonare in veramente tanti contesti musicali differenti anche impegnativi, la gran parte della mia carriera internazionale è con questo strumento che amo profondamente. Con la chitarra le cose sono diverse, per me corrisponde anche alla possibilità di comporre o semplicemente di passare un’ora con uno strumento che riesce a descrivere paesaggi con più colori e più sfumature e la suono da sempre anche se non sono certo un solista funambolico. Un terzo strumento che amo molto è la voce. Poi come tanti musicisti sono un curioso patologico, mi piacciono gli strumenti in generale e ne possiedo diversi, lap steel, ukulele, pianoforte, strumenti etnici quali sitar, outar…che suono tutti in maniera empirica o perchè ho incontrato qualche bravo musicista che mi ha insegnato qualche rudimento.

Un aspetto che mi ha colpito è l’uso in un paio di brani di percussioni. Come mai hai deciso di farne a meno?

Per certi versi volevo fare un disco atipico come è piuttosto difficile trovarne, un brano se è ben composto e arrangiato  e se ha una idea melodica forte paradossalmente regge anche se suonato con un kazoo o cantato a cappella. Ciò nonostante amo batteria e percussioni, che diamine, sono un bassista! Però il progetto è partito di fronte al camino in casa mia, in buona parte dei brani desideravo cercare di mantenere quella atmosfera. Poi però non sono riuscito a rinunciare a due musicisti splendidi come Valerio Perla e Mario Marmugi.

Tu sei anche attore e regista teatrale. Come nasce questa tua passione?

A parte quattro anni in cui da bambino ho vissuto in Barbagia, sono nato a Pontedera in Toscana, città dove sono rimasto fino all’età di 20 anni circa. Da casa mia, grazie ai miei genitori, ho visto passare grandi maestri del teatro, della fotografia e di altre arti; Pontedera era una città dai forti contrasti sociali e politici, la Piaggio, i movimenti extraparlamentari, le droghe…è stata una fortuna trovarmi lì negli anni ’70 e ’80. Se sopravvivi a tutto questo calderone ti arricchisci molto intellettualmente. Io sono sopravvissuto perché ho avuto la possibilità oltre alle cose brutte di avere a portata di mano tante esperienze belle e stimolanti. Quindi, non per merito ma per caso, mi sono trovato in un ambiente pericoloso ma che paradossalmente mi ha salvato e mi ha forgiato. Devo dire che ho praticato a lungo anche i ruoli più umili, dal facchinaggio ai ruoli tecnici; grazie a questi, oggi quando salgo su un palco nessuno può raccontarmi fischi per fiaschi.

Essere un musicista indipendente ti pesa o è una condizione che è più consona al tuo essere?

Si, certamente mi pesa, tutto è più difficile e impegnativo; quei pochi brevi periodi che ho lavorato per agenzie credo di essere riuscito a dare molta qualità semplicemente perchè ero più libero e tranquillo. Di contro è vero che per questo disco ho preferito avere totale libertà e questo non ha prezzo ma ha un prezzo. Adesso pare che qualcuno in più si stia accorgendo che in Italia c’è un artista strano, un pò atipico ma che forse ha qualcosa da dire. Bene, stiamo a vedere, se arrivasse una proposta interessante la valutiamo con serenità.

Un altro dei motivi che fanno apprezzare il tuo lavoro è la splendida confezione scelta. Un digipak impreziosito dalle fotografie di Sabrina Marianelli. Una scelta che sorprende visto che molti artisti, per evidenti ragioni di costi, sono spesso costretti a scegliere packaging così spartani che quasi sminuiscono il loro stesso lavoro. Una bella scelta!

Se guardi tutti i dischi in cui ho avuto una importante voce in capitolo (quelli con Hotel La Salle, con Oscar Bauer o con i nepalesi Sukarma) vedrai che per me curare l’opera è una costante. Credo che un’opera discografica sia effettivamente un prodotto artistico e non solo commerciale. Tutto ciò che sta intorno alla musica aiuta a comprendere l’artista e la sua visione. Sabrina Marianelli è una bravissima fotografa e una fantastica pittrice, ha ricevuto menzioni speciali da Sgarbi, D’averio, al Louxembourg Art Prize, al premio Mestre, insomma non una a caso. Quel che mi piace del suo modo di lavorare è che non ti accorgi della sua presenza, ma lei vede tutto con occhi speciali. Life On a Canvas è dedicato a lei. Comunque hai ragione, la prima tiratura sarà appena sufficiente per riprendere i costi alti di questa produzione.

Hai suonato praticamente ovunque nel mondo. Che differenze trovi tra l’esibirti in un contesto straniero rispetto a quando suoni in Italia?

Beh, non proprio ovunque, ma almeno in tre continenti (Americhe, Europa, Africa). Quando suoni in situazioni professionali in Italia trovi effettivamente molta professionalità. Forse le direzioni artistiche dei festival sono un pò troppo schiave delle agenzie, ma capisco che sia un rapporto di dare e ricevere che è giusto supportare da parte di entrambe le entità. L’unico auspicio è che comunque ogni festival conservi un pò di autonomia di pensiero e un pò di risorse economiche per sostenere e valorizzare anche qualche cane sciolto che per tanti motivi può non essere sotto contratto con una agenzia in un determinato momento. 

Uscendo dal contesto professionale, quel che mi preoccupa di più è il rapporto del pubblico con la musica. In alcune regioni del mondo vedo un rapporto più importante e quotidiano delle persone con la musica, specialmente quella suonata davvero. Vedi, in questi giorni, diversi tg nazionali mandano servizi su fantomatici personaggi, il nuovo trapper di grido, la cantautrice indipendente, etc etc. 9 volte su dieci sono cose inascoltabili e poi “indipendenti” de che? ecco questo mi preoccupa abbastanza.

C’è qualche musicista col quale ti piacerebbe collaborare oggi?

In questo momento sto collaborando con i musicisti che sono coinvolti in questo progetto e già questo mi rende felice. Certamente mi piacerebbe collaborare con tanti musicisti, specialmente con chi credo possa insegnarmi qualcosa, magari un pò diverso da me. Chessò, un disco a quattro mani con un jazzista o un bluesman di peso, almeno 100 kg… A parte gli scherzi mi piacerebbe ricevere una proposta da un musicista che stimo o come è successo altre volte qualcuno che incontro per caso ma che mi incuriosisce molto.

Cosa ascolti? Hai qualche genere o artista che prediligi?

Ascolto molte cose differenti, la parte del leone la fanno blues, jazz e fingerpicking ma amo anche la musica classica. Stanotte prima di dormire ho ascoltato la colonna sonora del film The Curious Case of Benjamin Button che trovo meravigliosa, stamani Manhole di Grace Slick, in settimana sono passato da BB King in London a curiosare su YouTube per conoscere Wolfmother, Xavier Rudd e altri…domani forse toccherà a Mingus at Antibes o High Winds, Bright Sky di Bruce Cockburn, o ai Tinariwen, chissà, dipende dall’umore…

Quali sono i progetti a seguire la pubblicazione di Solo?

Beh, questo disco ha dato luogo a un incontro di musicisti eccezionale per essere in Italia, 10 talenti sul palco (oltre a me e Robi ci sono Nico Gori, Nick Becattini, Mimmo Wild Mollica, Alessandra Cecala, Valerio Perla, Fulvio Renzi, Cris Pacini, Mario Marmugi) perciò merita di essere proposta la sua versione dal vivo che è logicamente meno intimista e più d’impatto. Qualche ingaggio è già uscito fuori e speriamo che ne escano altri perchè questa line-up è in grado di sostenere qualsiasi palco. Spero che gli organizzatori non siano miopi o troppo esterofili.  Poi c’è il trentennale della mia band storica, Hotel La Salle, un altro impegno importante che vorrei onorare al meglio. Dopodichè forse mi metterò a pensare a un nuovo disco personale, ma intanto pensiamo a vendere questo.

Il tuo album è disponibile in qualche negozio di dischi. Merce rara oramai. Nel caso qualcuno volesse acquistarlo direttamente hai i riferimenti da poter dare?

il modo più semplice è l’acquisto online da Carù Dischi d Gallarate, oppure mettendosi direttamente in contatto con me attraverso il facebook SoLo – andrealupolupi. Grazie a chiunque vorrà sostenermi!

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