Addio al “Tropical Troubadour”.
Un ricordo di Jimmy Buffett

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La scomparsa di Jimmy Buffett, avvenuta il 1 settembre mi ha lasciato una logica tristezza, essendo Buffett uno degli artisti che ho amato, rinfrancata però dal ricordo degli shows ai quali ho avuto la fortuna di poter assistere in questi ultimi anni e, sopratutto, dalle sensazioni che mi lasciarono dentro. Pertanto, chi si aspetta un pezzo sulla carriera dell’artista resterà deluso. Di coccodrilli ne vedremo tanti nei giorni a venire, e, specie per quelli italiani, saranno praticamente tutti uguali, praticamente delle fotocopie l’un dell’altro. Per le eccezioni bisognerà guardare sulla stampa estera, o certa stampa specialistica indigena, visto che Buffett da noi è sempre stato ignorato o, al massimo, pochissimo considerato.

(Key West – Una vecchia foto di Jimmy Buffett esposta in un bar Ph Marcello Matranga)

Tre volte; queste le occasioni in cui ho visto Jimmy Buffett insieme alla sua Coral Reefer Band, due volte a La Cigale, luogo eletto per le sue esibizioni parigine, ed una volta la sera del 31 dicembre 2015 al Brooklin Center di New York in un concerto/party di fine anno, con tanto d’interruzione per collegamento in diretta attorno allo scoccare della mezzanotte per un’intervista in diretta,  in una serata che vedeva come opening act Huey Lewis & The News. Le due date parigine si fine settembre 2013 e 2014, diedero modo di toccare con mano la realtà di un mondo, quello dei Parrotheads, che credevo più frutto di leggende o una sorta di coreografia che accompagnasse le esibizioni di Buffett. In breve, si arrivava per mettersi in coda per entrare alla Cigale, e ti ritrovavi catapultato in un mondo a parte, costituito da persone che arrivavano da tutto il mondo per assistere allo show. E quando dico tutto il mondo non è una banale generica affermazione. Ho conosciuto una coppia che arrivava dalla Nuova Zelanda ma anche da Argentina e Brasile, per non parlare degli americani. Dall’Europa c’erano praticamente tutti i paesi rappresentati. Insomma la definizione di meltin pot trovava la sua perfetta applicazione. E la coda si dipanava in un gigantesco party a cielo aperto, fatta di un BBQ che andava spandendo il profumo di carne e verdure offerte a chiunque fosse li da Parrotheads talmente friendly da sembrare irreali. Stessa cosa per le bibite offerte per alleviare il grande caldo, tanto da coinvolgere perfino un negozio di frutta e verdura che offriva fette di anguria ai presenti.

L’apertura delle porte senza stress, l’ingresso alla Cigale con la tassativa richiesta di consegnare cellullari o di tenerli spenti durante lo show. E prima dello stesso lo spettacolo offerto dal pubblico che sfoggiava gli abbigliamenti più strambi ed improbabili. Le collane lanciate agli spettatori dal piano superiore da un signore travestito da pirata. Una festa che trovava il culmine naturale nell’sontuoso ingresso di Buffett e della CRB con le prime note di Brown Eyed Girl (Van Morrison) ad introdurre uno spettacolo fatto di classici immancabili (le celebri big 8 poi diventati 11 o 12, ovvero le canzoni sempre eseguite nei concerti del nostro, come si può leggere nell’unico, ottimo volume pubblicato in Italia dedicato a Buffett da Arcana scritto da Daniele Benvenuti, edito nel febbraio 2020, ed intitolato Cheesburger in Paradise Jimmy Buffett e il suo 5 o’clock sound).

Concerti divertenti. Tutti pronti a ballare sull’onda di un frenetico ma corroborante drunken Carribean rock’n’roll (definizione tratta dalla quarta di copertina del volume di Benvenuti), o ad alzare le pinne di squali immaginari (Fins up), ma anche ad abbandonarsi al Gulf breeze di ballate memorabili entrate nella storia della musica (Havana Daydreamin’ solo per citarne una), il tutto fra palloni colorati che solcano il percorso platea/palco senza provocare irritazione ma interazione e divertimento fra pubblico e musicisti. Osservando tutto questo pensavo a quanto queste sensazioni che provavo io come tutti gli altri presenti, fossero genuine, vere, non frutto di un set costruito per dover trasmettere questo tipo di messaggio. Ed ecco il collegamento con quanto visto fuori nella coda e questo vortice di emozioni positive che si respiravano in sala. C’era affetto, complicità, riconoscenza reciproca tra pubblico ed artista per una felicità palpabile.

(Key West – Margaritaville Ph. Marcello Matranga)

D’altronde Buffett non è stato uomo da tristezza o furori a tinte rock’n’roll, ma l’esatto contrario. Certo anche grazie ad una celebrità fattasi stratosferica (non in Italia, sia chiaro, anche se i suoi pochi fans li ha avuti anche da noi), ed una disponibilità economica considerevole, costruita con la musica, che gli ha permesso di creare un impero. John Mellencamp ebbe a dichiarare che “Buffett aveva più soldi di Dio”. Vero. Ma dietro una vita certamente agiata c’è stato anche la generosità profusa in filantropia sempre poco dichiarata, mai ostentata.

Jimmy ci lascia un patrimonio di canzoni ricco e molto vasto. Certo, qualche caduta, inevitabile per carriere che oltrepassano i cinquant’anni, ma anche un grande vuoto. Specie per quella dolce allegria regalataci, che di questi tempi sembra essere diventata ricordo di tempi lontani.

 

Le Big 8

Margaritaville

Come Monday

Fins

It’s 5 o’clock somewhere

A Pirate looks at forty

One particular harbor

Changes in latitudes, changes in attitudes

Why don’t we get drunk

Cheesburger in paradise

 

 

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