Beograd – passato remoto
Episodio 8

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E come dargli torto e non dire una banalità: anche Novi Beograd ha alcuni abissi. Gli abissi non hanno solo la dimensione della profondità, ma anche quella dell’altezza.
Alcuni fra i lettori avranno capito che voglio parlare de la “Torre Genex”, un grattacielo di 35 piani, alto 115 metri progettato nel 1977 da Mihajlo Mitroviæ in puro stile brutalista e terminato nel 1980. All’ultimo piano era previsto un ristorante girevole ma mai nessuno vi ha impianto il meccanismo di rotazione. L’idea era quella di farne la porta della città, per chi arriva dal nord o dall’aeroporto.
Ora, la Torre, seppur abitata da famiglie e uffici, versa nell’abbandono più totale. L’ultima volta che ci sono stato, nella portineria era stato steso un grandissimo telo impermeabile in quanto piove dentro da porte, finestre e qualsiasi fessura presente. Nello spazio antistante, rifiuti, mattonelle sconnesse ed erbacce si contendono lo spazio mentre la pizzeria “Italia” occupa gli unici spazi esterni adibiti a commercio. Il proprietario è immigrato da giovane prima in Slovenia, a Maribor, poi in Germania a Hulm e, infine a Lerici a lavorare in una trattoria affacciata sulla Baia dei Poeti ove hanno soggiornato Byron, Shelly, Petrarca e Montale. Sogno non realizzato: aprire un ristorante a Portofino o alle Cinque Terre. Si è accontentato, invece, di dipingere un Vesuvio e una Lanterna sul muro, mettendoci sopra una rete da pescatore e qualche stella marina e aprire il suo locale qui a Torre Genex . Non ho potuto esimermi dall’assaggiare la “sua” pizza, una delle tante varianti balcaniche. Comunque, sempre meglio di quella che, a forza, ho dovuto mangiare a Miami preparata da esuli cubani convinti discendenti di Colombo e dei Doria.

Ma la leggenda di Novi Beograd si nutre di cose vive, di quelle cose, come diceva Melville, che “non sono segnate sulle mappe”. Le “cose” di Novi Beograd hanno la forma di enormi padelle e spuntano ovunque, dai balconi, dalle finestre, dai tetti, dalle vetrine dei negozi. Se i simboli servono per riconoscere e riconoscersi, allora altro che falce e martello, pugni chiusi, e rosse bandiere al vento. Il simbolo dei paesi dell’est erano gli enormi padelloni, più volgarmente dette “antenne paraboliche” protese verso il paese occidentale più vicino. Che nel caso di Belgrado erano l’Italia o la Grecia. Certo anche lì era un problema di lotta di classe, chi più aveva più poteva spendere e i padelloni allora garantivano anche il resto dell’Occidente fino all’odiato amato nemico americano. Ora col Digital Video Broadcasting via terra, via cavo e via satellite molti padelloni non servono più. Rimangono come decoro urbano e archeologia industriale assieme al Palazzo della Federazione, opera in marmo bianco proveniente dall’isola dalmata di Brazza. Edificato negli anni Cinquanta, ebbe il suo massimo splendore nel settembre del 1961 quando ospitò la prima conferenza del Movimento dei non allineati. Poi seguì le anse della storia. Alla dissoluzione della Jugoslavia divenne il palazzo della mini-federazione fra Serbia e Montenegro e da quando anche Podgorica decise per la separazione ospita solo le istituzioni della Serbia.

Nel frattempo, è anche cambiata la morfologia della zona, da quartiere dormitorio a sede di prestigiose istituzioni culturali e sportive, di grandi banche internazionali, di aziende emergenti sui mercati dell’est Europa. Perché Belgrado è sempre stata, e rimane, la porta per quel mondo che scivola lungo le dorsali dei Carpazi fino agli Urali.

Ma non potete lasciare la zona senza visitare un altro luogo iconico: l’Hotel Jugoslavija situato fra il block 9, il block 10 e il block 11. Partiamo dal lampadario che sovrasta l’atrio: 14 tonnellate con un lato di 30 metri e l’altro di nove interamente progettato e realizzato da Swarovski nel 1969. Quarantamila cristalli e cinquemila lampadine. Come per tutte le imprese nella ex Jugoslavia, fu la storia a scandirne i tempi è a calendarizzare la sua vita: lavori iniziati nel ’47 e sospesi nel ’48 a causa della rottura Tito Stalin. Quali siano state le ripercussioni architettoniche urbanistiche causate dalla prima rottura in seno al movimento comunista internazionale non è dato saperlo.

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