Beograd passato remoto
Episodio 5

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Il quarto episodio lo potete leggere a questo link:

Beograd passato remoto

Il Generalštab, un maestoso edificio in stile modernista costruito nel 1963 con l’idea di ricordare le gole della Sutjeska ove si svolsero eroiche battaglie partigiane, sede oltre che della difesa anche dello stato maggiore serbo, è ancora come lo ridussero i raid dell’Alleanza Atlantica, credo il 3 aprile del 1999. Prima di continuare a scrivere ho telefonato a Belgrado. A Isidora, la studentessa di Brera che gentilmente mi traduceva ogni volta che arrivavo in città. Ora è una affermata regista teatrale.

Si, mi ha confermato, i resti del Generalštab sono sempre lì, all’incrocio trafficato fra la Nemanjina e la Kneza Milosa. Guardati a vista da svogliati poliziotti col compito di impedire che qualcuno possa intrufolarsi, vagabondi in cerca di riparo o turisti per scattare l’ennesima foto ricordo. Attorno palazzi asburgici e neoclassici, integri nei loro secoli, carichi di polvere ma intatti. Certe storie resistono più delle altre, è indubbio. E come diceva Aristotele: “Questo solo è negato a Dio: disfare il passato.” Sul presente si dà da fare indubbiamente.

Nei locali di quel palazzo, che ospitava anche il Dicastero della giustizia federale, raccolsi, nel 1992, la testimonianza del ministro Tibor Varady. Lo voglio ricordare perchè Tibor Varady era, ed è, un galantuomo. Uno dei pochi che cercava il dialogo e non lo scontro, che parlava di disarmo e non di guerra. Fu sconfitto, come i pochi altri come lui. La follia, perché di questo si trattò, non fu fermata e la storia ci consegno uno dei più tremendi macelli degli ultimi decenni.

Ventitré anni dopo i bombardamenti della Nato, ventun anni dalla caduta di Milosevic è più facile per la Serbia ortodossa prendere soldi da un emirato di religione islamica che entrare nell’Europa comunitaria. La memoria nei Balcani non sembra mai ingiallire, al massimo diventa ancora più ruvida. A volte, come per gli ebrei, trova conforto nell’ironia.

Ecco un ricordo di quei giorni del ’99 di Enzo Biagi: “Nei rifugi i bambini disegnano per distrarsi, i serbi sono stanchi di essere eroi. […] Clinton non è visto benevolmente, nei muri della città è rappresentato con un lunghissimo membro, mentre si intrattiene con la signorina Lewinsky e una battuta invoca: anche tu, come noi, stringi i denti.”

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